by Sergio Segio | 30 Agosto 2013 6:37
Li riconosci subito i siriani che sbarcano sulle coste della Sicilia orientale: molte famiglie, tante donne con il volto e la testa coperti dal velo, e bambini, abiti puliti, fisicamente ben messi, zaini in spalla, quasi tutti con pc, cellulari e passaporto. Molti parlano inglese: sono quasi tutti professionisti, diplomati, laureati, sicuramente gente dal livello sociale e culturale superiore rispetto ai migranti del Maghreb o dell’Africa subsahariana
che sbarcano in Sicilia provati da un viaggio spesso lungo anni e costellato da stenti e prigionia. I 520 profughi siriani approdati a Siracusa in 24 ore, invece, sono fuggiti dalla loro terra da pochi giorni, al massimo settimane, lasciando case, lavoro, professione, averi, familiari. Per salvare la vita e i figli dalle bombe e dalla spietata violenza dei miliziani e ora anche dalle armi chimiche. «Da noi non c’è più futuro», dicono.
Nell’ultimo barcone recuperato la scorsa notte dagli uomini della Guardia costiera di Siracusa erano in 81 e tra questi due donne e tre bambini, il più piccolo dei quali di pochi mesi. Dopo la piccolissima Nahda, la bimba partorita durante il viaggio da una giovanissima mamma partita insieme al marito e ad un altro figlio di tre anni, ieri tutte le attenzioni so-
state per Amir, sei mesi. Ma questa volta i siriani erano pochi, quindici, appartenenti a due nuclei familiari: due giovani coppie con i fratelli e i figli. Tutti gli altri, adolescenti o poco più, erano egiziani. «Adesso che dalla Siria arrivano in tanti, gli egiziani tentano di spacciarsi per profughi di guerra, ma a noi basta uno sguardo per riconoscerli», dice il comandante della Capitaneria di porto Luca Sancilio che da giorni, con i suoi uomini ed i volontari di Croce
Rossa, Protezione civile, Emergency e con gli uomini delle forze dell’ordine, troppo pochi per affrontare l’emergenza, lavora notte e giorno senza soluzione di continuità. «In due giorni ne sono sbarcati 700 e crediamo di essere solo all’inizio — aggiunge — tutti ci fanno i complimenti per il nostro lavoro, tutti vengono a vedere di cosa abbiamo bisogno, ma poi nessuno fa niente».
Da Palazzo Vermexio, il sindaco Gianfranco Garozzo rilancia il suo appello: «Ho scritto a Letta, ad Alfano, nessuno mi ha risposto. Siamo in una situazione di emergenza, chiediamo il controllo del mare, risorse economiche e umane, un ospedale da campo. Non abbiamo neanche dove mettere queste persone. Rischiamo di perdere il controllo della situazione ».
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