Così Damasco muove i fili delle sue «pedine» all’estero
Partiamo dal monito. Non sarebbe una sorpresa se militanti qaedisti, reduci dal conflitto siriano, si preparassero a colpire l’Europa. Alcuni sono già stati fermati. C’è una grande attenzione (e paura) nel nord del Continente, da dove sono partiti molti volontari. Alcuni, chiusa l’esperienza sul fronte bellico, sono rientrati con intenzioni poco buone. Nella loro visione l’Occidente resta un nemico, un’ostilità resa ancora più aspra dall’accusa di aver fatto ben poco — almeno fino ad oggi — per fermare il massacro in Siria. Proprio la paura di favorire le componenti più estreme, solide e ramificate in un’area estesa dall’Iraq all’Algeria, ha indotto gli Stati Uniti a restare guardinghi nei confronti della resistenza. Dunque ci sta il rischio attentati, magari senza le armi chimiche, difficili da maneggiare.
Passiamo alla profezia. I servizi segreti siriani sono i maestri della manipolazione. Tirano molti fili, dispongono di gruppi e sotto-fazioni che agiscono a comando, si mimetizzano e riappaiono quando fa comodo. Nulla di più facile che ispirare una di queste cellule per compiere un attentato a Londra o Parigi e poi rivendicarlo con una sigla dai richiami religiosi oppure che ricorda il marchio di Al Qaeda. Uno scenario perfetto per poi rinfacciare agli occidentali: «Cosa vi avevamo detto? Non ci avete ascoltati». E magari possono aggiungere un memo: vi siete dimenticati cosa è accaduto all’ambasciatore Chris Stevens a Bengasi, soffocato dal rogo del consolato?
In passato gli uomini di Bashar Assad, in particolare quelli dell’intelligence dell’aviazione, hanno mosso pedine dal Medio Oriente all’Europa. Non per svolgere missioni spionistiche, bensì per creare network di appoggio. Pochi uomini che sono diventati riferimenti per nuclei terroristici di ispirazione diversa. Trafficano in armi, hanno attività di copertura legittime e sono ben inseriti. In caso di necessità si trasformano in facilitatori di attentati.
Pochi giorni fa parlavamo del Fronte guidato da Ahmed Jibril, uno che è abituato all’intrigo e che si è esposto annunciando ritorsioni. Non è il solo. Questi mesi di violenza diffusa hanno fatto dimenticare in fretta gli attacchi che hanno sconvolto la Turchia. Alcuni dalla matrice netta, come l’azione suicida rivendicata dagli estremisti di sinistra del Dhpk-C contro l’ambasciata americana. Terroristi con un’agenda locale ma pronti a dare una mano a chi li ha finanziati da Damasco. Altri indecifrabili con le piste qaedista e dei filo-Assad confuse in una nebulosa dove gli agenti di Damasco si trovano a loro agio trovando complicità nei colleghi iraniani.
Qualsiasi Stato che offrirà supporto all’America è a rischio. E qualsiasi zona dove è possibile innescare reazioni a catena — Giordania, Libano, Israele — non può sentirsi al sicuro.
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