L’Italia stavolta si chiama fuori «Niente basi senza l’ok Onu»
ROMA — L’atmosfera è di nuovo cupa, come nei giorni terribili del marzo 2011, alla vigilia dell’intervento militare in Libia. Il ministro Emma Bonino, davanti alle commissioni Esteri di Camera e Senato, ha detto ieri che terrà un «rapporto stretto, ad horas , col Parlamento», per informarlo sugli sviluppi della crisi in Siria. Finora nessuno tra Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti — i Paesi già pronti all’attacco — ha chiesto all’Italia l’utilizzo delle sue basi militari. La posizione del nostro governo, però, è chiara: «Senza l’avallo dell’Onu, l’Italia non concederà l’uso delle basi».
Sempre ieri il presidente del Consiglio, Enrico Letta, ha avuto un lungo colloquio telefonico con il collega britannico, David Cameron: con l’uso massiccio di armi chimiche in Siria «si è oltrepassato il punto di non ritorno», hanno concordato i due. E il ministro Bonino ieri in Parlamento ha scandito bene le parole: «Si rafforza l’ipotesi, sulla base di informazioni di intelligence che siano state le forze armate siriane a far uso di armi chimiche. E l’uso di armi chimiche è un crimine contro l’umanità. L’Italia, però, non prenderebbe attivamente parte a operazioni decise al di fuori del Consiglio di sicurezza dell’Onu». Paletto insuperabile: «Senza un mandato del Consiglio di sicurezza non parteciperemo a operazioni militari». «Non c’è soluzione militare al conflitto siriano», ha aggiunto la Bonino, bisogna andare invece nella direzione di una «soluzione politica, che si chiami Ginevra 2 o in un altro modo, un negoziato». Altre strade, piuttosto che le armi, sarebbero percorribili: dal «deferimento dei responsabili dell’uso di armi chimiche alla Corte penale internazionale» fino «all’esilio dei vertici di quel regime». Ma l’Italia — ecco un altro punto fermo — non fornirà neppure armi all’opposizione siriana. «Non è un modo di scaricare le responsabilità», ha chiarito ieri la titolare della Farnesina, «ma un’assunzione di piena responsabilità nei teatri in cui già operiamo». Il riferimento era al Libano, all’Afghanistan e alla Libia, dove l’Italia «è già impegnata al limite e oltre il limite delle sue capacità».
Ora i partiti si dividono sulle scelte. Pd e Pdl condividono la posizione del governo: «Unica opzione è la diplomazia, no all’uso delle armi», dice Giacomo Filibeck, presidente del Forum Esteri del Pd. Anche Deborah Bergamini, capogruppo Pdl in Commissione Esteri alla Camera, esprime apprezzamento: «Bene il ministro Bonino». Plaude Sel e pure il leghista Roberto Calderoli: «Al nostro Paese è bastato un Kosovo…». Contro la linea interventista degli Stati Uniti si schierano invece le opposizioni: «Non decide uno da Washington», ironizza il leader de La Destra, Francesco Storace. E il giornalista Mario Albanesi, sul blog del leader del M5S Beppe Grillo, attacca il presidente Obama («Premio Nobel per la Pace — ridicolo! — questo nero ben felice di servire l’uomo bianco»). Infine, Flavio Lotti, portavoce della Tavola per la Pace e tra i promotori — insieme a don Ciotti, Savino Pezzotta e altri — dell’appello («Sveglia!») alla mobilitazione contro l’intervento in Siria, fa autocritica: «I costruttori di pace oggi hanno perso la loro capacità di mobilitare persone. Non siamo più nel 2003 (la guerra in Iraq, ndr ). La crisi economica ha eliminato il mondo dall’agenda di tante persone».
Fabrizio Caccia
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