Così il Regime risponderà alla Mossa obbligata di Obama

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Vediamo, srotolando la mappa, come sono posizionati i protagonisti del confronto. Barack Obama ha deciso per un’azione — magari limitata — in Siria. Non ne ha alcuna voglia, così come gli americani che non capiscono che bisogno ci sia di un’altra guerra. Però deve farlo, condizionato dal suo impegno a reagire nel caso fossero state usate armi chimiche e costretto dal ruolo che comunque l’America è obbligata ad assumere. Situazione sgradevole: se non interviene è debole, se lo fa compie un’ingerenza. Al fianco degli Usa gli alleati di sempre. La Francia, interventista di natura. La Gran Bretagna, compagna di ogni avventura militare statunitense. Lontana, invece, la Germania. Ha peso economico ma non bellico e poi le considerazioni elettorali contano più di ogni altra cosa.
In guardia i partner regionali di Washington. Israele non si oppone certo ai raid, sa che potrebbe subire qualche ritorsione, però è consapevole che in questa cornice può agire — quasi indisturbato — in Siria. Per eliminare nemici, missili e tutto ciò che considera una minaccia. Una libertà di movimento impensabile fino ad un anno fa. E’ una valutazione nel breve-medio termine, per il futuro si vedrà. Inquieta e timorosa la Giordania, vaso debole che rischia il contagio più di ogni altro. Poi la Turchia che ha per forza un ruolo e sfrutterà un’eventuale operazione militare per cercare di ampliare la sua influenza nel nord della Siria, area per nulla stabile. Contenti e più spregiudicati i signori del Golfo, bancomat della rivolta siriana e uomini dalle tante ambizioni, da sempre a favore di una spallata per scuotere Assad.
E arriviamo all’attore principale. Pescando dal libro dei ricordi, il raìs siriano ha imitato Saddam ed ha aperto le porte agli ispettori Onu affinché indaghino sull’uso dei gas. Mossa tardiva, gli hanno rinfacciato gli americani. Mossa comunque dilatoria, tipica dei regimi mediorientali e che risponde anche alle manovre di sponda messe in atto da Iran e Russia, gli unici amici del dittatore. Mosca spera di guadagnarci qualcosa, convinta che Washington scivolerà nel pantano. Guardinga Teheran che, pensando ai propri affari, si inquieta quando volano caccia e cruise.
Il «giovane» Bashar probabilmente è rassegnato al colpo e si starà chiedendo quanto ampio sarà il danno al suo apparato militare già debilitato. Poi il secondo pensiero: come reagire. Aveva minacciato sfracelli dopo aver subito gli attacchi israeliani e non ha fatto nulla. Del resto poteva fare poco sul piano convenzionale. Non ha i mezzi per poter competere in un confronto diretto. Dispone però di altri sistemi, un’eredità lasciatagli dal padre Hafez, astuto come la volpe, scaltro come un lupo. E questi sistemi sono quelli che puntano alla strategia del caos appaltata a servizi, terroristi e guerriglieri.
Assad è consapevole che Obama, insieme agli europei, ha paura che l’incendio siriano continui ad allargarsi. Se fino a oggi non c’è stato un intervento massiccio è proprio per il timore delle conseguenze regionali. Solo che a forza di aspettare il rogo si è alimentato quasi da solo. Le mille faide, politiche, etniche, religiose hanno fatto da combustibile naturale. È dunque legittimo attendersi attentati, esplosioni non rivendicate o stragi firmate da gruppi sconosciuti. A Beirut, ad Amman, magari a Tel Aviv o nelle città turche. Quando gli iraniani parlano di «pesanti conseguenze» pensano anche a quello. Per Damasco la minaccia di ampliare i confini del conflitto è sempre stata la soluzione migliore. Perché distrae l’attenzione dal dossier siriano, fa parlare di altro, costringe l’intelligence a inseguire altre minacce, induce alla prudenza. Il ciclo di attacchi e vendette incrociate che ha appena insanguinato il Libano è lo schema consolidato. E che può essere riprodotto intrecciando le trame siriane a quelle dei tanti movimenti che agiscono in Medio Oriente. La crisi ne ha creato di nuovi e ha riattivato quelli vecchi. Professionisti dell’intrigo, manipolabili, capaci di nascondersi dietro ad altri, utili quando si vuole destabilizzare. Non c’è bisogno di molto. Bastano delle autobombe.
Guido Olimpio


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