L’Europa «declassa» la Lombardia L’Italia scivola sulla competitività

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MILANO — Brutte notizie per la Lombardia arrivano da Bruxelles. Secondo infatti uno studio sulla competitività dei territori elaborato da ricercatori della Ue la regione italiana pilota è uscita dal ranking delle prime 100 d’Europa – dov’era solo tre anni fa – ed è precipitata al 128 posto. La graduatoria è compilata facendo riferimento a 11 parametri-chiave che vanno dalla qualità delle istituzioni alla stabilità macroeconomica, dal livello alle infrastrutture alla qualità della vita associata (salute, scuola), dall’efficienza del mercato del lavoro per finire all’innovazione, la fertilità tecnologica e la sofisticazione del business. Ebbene questa griglia incorona al primo posto la regione olandese di Utrecht seguita dall’area della Grande Londra, dal Berkshire inglese, da Stoccolma e ancora dal britannico Surrey. Nessuna delle regioni italiane è stata promossa a pieni voti e tutte quante ne escono con le ossa rotte: l’Emilia Romagna è al 141 posto, il Lazio due posizioni più in giù, al numero 145 troviamo la Provincia autonoma di Trento e poi ancora la Liguria (146) che sorprendentemente sta davanti a Piemonte (152), Friuli (157), Veneto (158) e Toscana (160). Chiudono tutte le regioni meridionali con la Sicilia maglia nera al 235° posto.
La prima considerazione da fare è che l’indice sembra sottostimare le regioni tedesche, per arrivare a trovare in lista Francoforte bisogna giungere alla settima posizione e ciò indubbiamente stride con il riconoscimento della Germania come locomotiva d’Europa, non solo in virtù del Pil bensì per altri fattori come la robustezza delle istituzioni e lo stretto legame tra sistema scolastico e nuova occupazione. Anche guardando il dettaglio delle regioni italiane qualche sorpresa (Liguria) la troviamo così come pare incomprensibile mettere in graduatoria la provincia di Trento da sola. Se vale il principio della Grande Londra perché allora non riconoscere l’esistenza di un sistema Nordest? Pur fermandosi alle prime valutazioni la graduatoria si presta a far discutere ma sarebbe un errore cercare l’alibi della retrocessione italiana e lombarda nelle contraddizioni dello studio. Conviene prenderlo come spunto di analisi e di riflessione.
Le regioni maggiormente competitive nella Ue sembrano quelle centrate sull’appeal di una grande città e di conseguenza la riflessione sulla Lombardia porta direttamente a valutare un certo appannamento di Milano, in quanto ad attrattività degli investimenti e dei talenti. Veniamo da anni in cui la politica ha investito fortemente sulla carta federalista e non pare che ciò abbia lasciato convincenti tracce. Solo per fare un esempio l’alta velocità ferroviaria collega Torino a Milano e poi si ferma a Treviglio senza la benché minima speranza che si possa raggiungere Venezia. Più in generale si può dire che i cattivi risultati della competitività dei territori del Nord dipendono anche da una forte dispersione di risorse che ha portato a moltiplicare le università, gli aeroporti, le fiere e tutti i totem del campanilismo. Così avendo scelto l’aurea (e diffusa) mediocritas nel paragone con le regioni dell’Europa forte presentiamo un numero più basso di centri e impianti di eccellenza di quanto meritiamo. Milano ha sicuramente una centralità nei flussi di uomini e merci del Nord, centralità che però non diventa mai vera egemonia, progetto di integrazione. Resta una distanza culturale troppo ampia tra la metropoli e i territori e ciò non solo per il riproporsi di vecchie logiche città-contado ma anche per una debolezza delle classi dirigenti milanesi nel tematizzare il legame con la dimensione locale.
C’è dunque molto da fare perché la Lombardia possa risalire nella classifica Ue e pur avendo presenti i guasti prodotti dalla Grande Crisi non si possono dare tutte le colpe all’austerità. Cicli politici troppo lunghi e un’ampia diffusione della corruzione non hanno certo giovato, Malpensa non si è mai veramente affermata, la dotazione di infrastrutture è rimasta ben sotto le necessità del trasporto, la stessa sanità non è percepita come polo europeo ed è attrattiva solo e prevalentemente sul mercato domestico. Si può anche aggiungere che il Nord è stato usato e abusato come bandiera politico-identitaria, non è però mai diventato un programma di iniziative stringenti e selettive e Milano/la Lombardia in virtù della loro offerta di terziario qualificato hanno sofferto più di altre zone di questo mancato salto di qualità. Ed è da questi elementi che bisogna ripartire con umiltà e determinazione, due qualità che oggi paiono merce rara.


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