“A testa in giù per 20 euro” Tra i nuovi schiavi bianchi del pomodoro pugliese

by Sergio Segio | 23 Agosto 2013 6:49

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CERIGNOLA — A 50 anni Antonia pensava di non dover più vedere il mondo a testa in giù. E invece, dieci anni dopo l’ultima volta, è tornata a guardare la sua vita rovesciata: le gambe divaricate, la testa che a fatica si piazza all’altezza delle ginocchia, le braccia che si stendono nella terra, le dita che intercettano i frutti rossi facendo attenzione a evitare quelli più verdi.
Così Antonia è tornata a raccogliere i pomodori. «Avevo detto basta, per pochi spiccioli non posso fare la schiava. Ma non lavoravo da due mesi, né in campagna né come stiratrice. E allora questi 20 euro al giorno a casa fanno comodo. Ma non alla mia schiena». Antonia è una degli oltre 800 italiani che, testimonia la Flai-Cgil, da quest’anno sono tornati nei campi del foggiano per il lavoro più faticoso, quello peggio pagato, e per questo appaltato ormai da anni dai caporali. Agli schiavi, prima africani e poi est-europei. «Italiani non se ne vedevano da tempo: oggi invece sono almeno 800-900» spiega Daniele Calamita, segretario generale del sindacato. «Li spinge la crisi, la drastica diminuzione delle giornate di lavoro in campagna. La disperazione: accettano paghe inaccettabili ».
Antonia guadagna, a nero chiaramente, 20 euro per una giornata di lavoro che dura anche dieci ore. In realtà sono 25 euro, ma 5 vanno al caporale per il trasporto dalla città alla campagna, andata e ritorno. Il compenso è lo stesso di Emanuele, trentenne, che in un campo poco distante lavora alla guida di una macchina. Eppure Antonia ed Emanuele sono fortunati. Dormono in una casa. Un privilegio per i lavoratori del triangolo del pomodoro — Foggia, San Severo, Cerignola — un luogo dove i diritti di chi lavora sono nati, si sono formati, sono stati conquistati e invece 60 anni dopo si sono storti tutti, ammaccati, deturpati. Così a Cerignola, paesone da più di 50mila abitanti, in pieno centro vivono 12 persone in uno sgabuzzino senza bagno. Come servizi, vecchie bombole del gas: hanno fatto un foro nella parte superiore e dopo l’uso le svuotano in un tombino per strada. Qui sotto ci vivono otto uomini, tre donne e una bambina di un anno e mezzo: è suo il body bianco che hanno messo fuori ad asciugare, involontario ed efficace monumento a una barbarie. Questo scantinato viene affittato ai rumeni da un italiano per 200 euro al mese. Dorina invece, tre civici più in là, paga 300 per 15 metri quadrati.
È qui che vivono gli schiavi d’Italia. Gli schiavi bianchi. Bulgari e rumeni, alcuni ucraini. Hanno il marchio Ue, ma sono comunque disperati. Secondo le rilevazioni della Cgil sono 15mila in questa zona, 7.900 solo i rumeni. Guadagnano 3 euro per ogni cassone da 50 chili di pomodori. In media per raccoglierne uno, si impiega un’ora e dieci di lavoro. Complessivamente fanno poco più di 20 euro per otto ore. La giornata è strutturata in due turni: dalle 5 alle 11 e poi dalle 16 fino al buio. Ciascun lavoratore paga in anticipo 125 euro per il viaggio di andata e ritorno dal loro Paese più 20 euro a settimana per l’alloggio in Puglia. In tasca rimangono non più di 10 euro al giorno. Come si vive? «Con tre euro possono dormire qui da noi» dice Vito Colangione, il direttore di uno dei tre alberghi diffusi che la Regione ha voluto. Sono un miracolo: prefabbricati puliti, i bagni, non bisogna pagare extra. Ma i numeri sono praticamente nulli: coprono meno di 200 posti letto a fronte di una forza lavoro che supera le 25mila unità di migranti. La Cgil ha proposto di realizzare un eco-villaggio che sostituisca le baraccopoli dove oggi vivono gli africani, che prima erano egemoni. E invece sono diventati minoranza. «Danno ricchezza e l’Italia li accoglie così…», commenta Diego De Mita, presidente provinciale dell’Anolf (Associazione nazionale oltre le frontiere) che nel ghetto di Rignano si batte per acqua, bagni, come se fosse l’Africa. Invece è Italia.
«Gli africani — spiega Colangione — ormai sono il 10 per cento. Nel nostro centro, su 56 posti sono tutti rumeni e bulgari. Tre i tunisini». Non è un dettaglio, perché il cambio di passaporto della schiavitù ha mutato la distribuzione geografica dei migranti. «Non vivono più nelle campagne, ma in città». Al Penny Market, discount all’ingresso di Cerignola, l’80 per cento dei clienti sono bulgari e rumeni. «Scegliamo i prodotti
per loro: tutto in scatola, oppure wurstel. E ovviamente alcol. Tantissimo alcol». Fanno impressione le macchine: una su cinque ha targa dell’Est. «La convivenza — continua Colangione — sta diventando complessa. Se le istituzioni continuano a fare finta di non vedere, si rischia una guerra di disperazione».
E disperati erano i ragazzi che ieri mattina piantavano finocchi proprio davanti l’albergo diffuso di Cerignola. C’era il padrone a controllare, accanto i suoi due nipoti dodicenni che guidavano una Fiat Blu. «Li tengo qui per capire se da grandi vogliono coltivare. Se piace il mestiere. Devono imparare che devono stare qui perché bulgari, rumeni, italiani, queste non sono persone, vedi che innesto di merda ha fatto, queste sono bestie». Disperato era anche il ragazzo italiano che ha urlato per un’ora mercoledì nella speranza che arrivassero presto i soccorsi: quando sono arrivati il suo collega Ahmed El Mardi, 45 anni, raccoglitore clandestino di pomodori, era già morto. Stroncato da un infarto mentre guardava il suo sogno a testa in giù.

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