Il Colle apprezza la «linea del fare» di Palazzo Chigi

by Sergio Segio | 23 Agosto 2013 6:31

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Da una parte c’è il disorientamento catastrofista di quanti (e sono tanti) vedono il governo ormai prossimo al capolinea e giudicano pronto a spezzarsi il filo che regge la maggioranza. Dall’altra parte c’è Enrico Letta (e pochi altri), ancora convinto di poter evitare la rottura e di «salvare» pertanto la propria missione. Non a caso, per confermare un’immagine di sicurezza nonostante tutto, si chiude nel suo studio e s’impegna come se quasi nulla fosse, preparando nuovi provvedimenti e convocando riunioni tecniche, facendo sapere che l’esecutivo sta per risolvere i nodi più urgenti, tra i quali spiccano Iva e Imu. L’atteggiamento, insomma, di chi respinge qualsiasi baratto per coinvolgere il Pd nelle trattative su cui preme il Pdl per salvare Berlusconi. Dunque, meglio il lavoro che le polemiche.
È questo interlocutore ostinatamente e freddamente animato di spirito positivo — definiamolo così — che il presidente della Repubblica ha incontrato ieri al Quirinale. Temi del faccia a faccia: una ricostruzione del colloquio avuto dal premier mercoledì sera con il suo vice (e segretario del Pdl), Angelino Alfano, e le prospettive del governo sullo sfondo delle tensioni dovute al caso del leader Pdl condannato. Quel colloquio — si sa — era stato «difficile, teso, duro», ed era culminato in una minaccia di crisi sulla cosiddetta «agibilità politica» del Cavaliere. Un muro contro muro. Con un solo spiraglio, emerso a Palazzo Chigi: dar più tempo alla giunta per le immunità del Senato che dovrà decidere sulla decadenza del capo del centrodestra, aprendo magari nel frattempo la strada al tentativo di sollevare il problema davanti alla Corte costituzionale. Ne discutono da giorni giuristi di diverso orientamento ed è scontato che la questione sia divenuta oggetto di valutazione pure sul Colle. Ma, siccome la partita si gioca per il momento sul piano politico-parlamentare, sembra inutile aspettarsi da lassù quei segnali che il Pdl vorrebbe.
Richiesta rilanciata da Silvio Berlusconi, nel suo continuo stop and go di messaggi a più destinatari: «La Costituzione e il buonsenso offrono molte strade… vale per tutti gli attori, politici e istituzionali… non possono non saperlo». Ora, i suoi segnali Giorgio Napolitano li ha lanciati dieci giorni fa, il 13 agosto, e restano uno spartiacque inequivocabile per chiunque pensi di sovrapporre la stabilità del governo e l’eclissi politica del Cavaliere, dopo la sentenza della Cassazione per frode fiscale. Un memorandum articolato in tre punti di forza: 1) una crisi adesso, mentre «la preoccupazione degli italiani è lo sviluppo di un’azione di governo che rilanci l’economia», sarebbe «fatale»; 2) le sentenze vanno accettate e rispettate, e con esse i poteri dello Stato, magistratura compresa; 3) qualsiasi atto di clemenza obbedisce a regole e percorsi precisi, a partire dall’espressa richiesta del condannato, che dovrebbe almeno aver cominciato a espiare la propria pena. Su tutto questo, infine, pesava un avvertimento, rivolto a chiunque pensi di lucrare vantaggi da un immediato ricorso alle urne: con la legge elettorale che abbiamo, è impensabile uno scioglimento delle Camere, tra le più penetranti prerogative del presidente.
Su tale base, il Quirinale si tiene ovviamente fuori da qualsiasi possibile negoziato e resta in silenzio di fronte a ogni tipo di pressing, come quello di Beppe Grillo che ora pretenderebbe le dimissioni di Napolitano. E, a conferma che il capo dello Stato ha di sicuro apprezzato l’atteggiamento ispirato a un «ottimismo della volontà» di Letta, sul Colle sono saliti ieri in udienza i ministri Cancellieri e Saccomanni. Un modo per sottolineare che il miglior antidoto alle polemiche resta il lavoro.

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