La rivincita di Schröder La Spd lo chiama in aiuto

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BERLINO – Solo lui poteva avere la faccia tosta, in un Paese dove i sondaggi escono ogni settimana – elezioni alle porte oppure no – di invitare tutti a «non guardare» quei numeri impietosi che condannerebbero il 22 settembre i socialdemocratici a quattro anni di subalternità merkelizzata. Gerhard Schröder lo ha fatto. Il partito ha bisogno di lui e lui è tornato, cinquanta anni dopo aver preso la prima tessera, quando era un giovane povero che studiava la sera per diventare qualcuno.
Oggi l’ex cancelliere che rivoluzionò la società tedesca con le riforme dell’agenda 2010 (di cui la donna che è ora al suo posto ha sfruttato i benefici) è un uomo potente e appagato. Non si lascia smontare dalle critiche di coloro che lo definiscono un amico di Putin per la sua posizione di rilievo in Nord Stream, il consorzio che porta il gas russo in Germania. Gira il mondo. E’ un conferenziere molto richiesto. Firma autografi e si trattiene volentieri, prima di rientrare nella sua Hannover, a parlare con coloro che lo avvicinano, un bicchiere di vino in mano, il largo sorriso di chi è sicuro di sé. Non è un padre nobile, come Helmut Schmidt, né uno scomodo compagno di strada, come Günter Grass.
Gerhard Schröder è più che altro l’uomo che è riuscito a mettere fine nel 1998 al lungo regno cristiano-democratico. E’ colui che ha vinto anche le elezioni del 2002, che ha perso di misura la rischiosa sfida del voto anticipato di tre anni dopo. E’ lo «specialista» delle campagne elettorali, dicono a Berlino, dove si ricorda con ammirazione l’impegno furibondo con cui fu a fianco delle popolazioni colpite dalle alluvioni. E’ un grande comunicatore. Solo lui può aiutare la Spd a risalire la china. Il partito di Willy Brandt naviga intorno ai suoi minimi storici, quasi doppiato dall’unione Cdu-Csu di Angela Merkel. Il candidato cancelliere socialdemocratico, Peer Steinbrück, paga molti errori e , soprattutto, la tranquilla popolarità personale della sua avversaria. Sì, c’è sempre la possibilità che il blocco rosso-verde finisca in testa se gli alleati liberali dei cristiano-democratici dovessero restare fuori del parlamento. Ma è uno scenario, questo, che al momento appare poco probabile.
Chi ha partecipato, lo scorso fine settimana, alla grande festa berlinese per i centocinquanta anni della Spd, ha avuto l’immagine di un partito popolare senza popolo, che perde progressivamente la presa, in cui l’età media dei militanti diventa sempre più alta. I socialdemocratici sembrano aver bisogno di una scossa robusta. La loro gloriosa storia rischia, oggi, di essere paradossalmente un ostacolo e non una carta da giocare in una società distratta, sempre più lontana dalla politica tradizionale. Comunque vadano le cose, l’appello di Schröder contro i dirigenti e gli esperti, che sia sincero o soltanto furbo, rischia di essere benefico. E un po’ di carisma personale, ogni tanto, non guasta.
«Suona il tamburo e non temere niente», ha declamato l’ex cancelliere, nella sua applaudita performance di martedì a Detmold, in Nord Renania-Vestfalia, citando a memoria una famosa poesia, «Doktrin», di un Heinrich Heine in rotta con la sua cupa patria. Accanto a lui uno Steinbrück ingessato, che ripeteva i ragionamenti della Spd sulle tasse e il salario minimo. Vestito antracite, cravatta blu, camicia celeste, il sessantanovenne leader ha stabilito un contatto immediato con il pubblico, polarizzando l’attenzione degli osservatori di questa campagna elettorale noiosa. Non a caso, dal campo governativo sono arrivate le prime, allarmate reazioni. Come quella del capogruppo Cdu-Csu Volker Kauder che gli ha rinfacciato di avere reso l’euro più debole allentando i criteri di stabilità. Il suo giro continuerà. Ieri era ad Hannover. Nei giorni prossimi andrà ad Aquisgrana per sostenere la sua ministra della Sanità, Ulla Schmidt. E così via. Tutti si aspettano parole nuove. I fatti potrebbero venire, perché, come diceva Heine, «sono il risultato delle idee».
Paolo Lepri


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