«Melina» o nuove maggioranze, al Senato è caccia ai voti mancanti

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ROMA — Le poche cose certe sono che ci sarà una battaglia. Che il teatro dello scontro sarà Palazzo Madama. E che, sia che si tratti di rintracciare transfughi verso un nuovo governo sia che si tenti in extremis di sminare il voto della giunta su Silvio Berlusconi, andranno a guardare dentro la pattuglia dei «Gal», acronimo di «Grandi autonomie e libertà». Il gruppo dei dieci senatori di cui fa parte Giulio Tremonti, tanto per fare un esempio. E in cui siede anche qualche storico eletto del Pdl. Tipo Luigi Compagna: «Ma no, figuratevi se noi del Gal…». Pausa. Poi il senatore sussurra: «Piuttosto fidatevi di me, ci sono i margini per allungare il brodo di un anno. Un anno di tempo per far sì che la Consulta possa valutare una legge come la Severino, che è una legge nuova. Se si riuscisse a trovare questa strada…».
Una tesi che, per adesso, va a sbattere contro quel muro eretto dal trittico Pd-Sel-Movimento Cinquestelle, tutti intenzionati ufficialmente a non cedere di un millimetro rispetto alla decisione che la giunta del Senato ha messo in calendario il 9 settembre. Eppure una breccia si è aperta. Dopo l’intervista di ieri al Corriere del capogruppo alla Camera Lorenzo Dellai, anche l’unico ministro eletto con Scelta civica apre all’allungamento dei tempi. «Se c’è bisogno di un ulteriore approfondimento su aspetti formali di applicazione della legge Severino, non ci sarebbe nulla in contrario a poterlo concedere», dice Mario Mauro parlando al Meeting di Cl. In fondo, sarebbe «l’opzione minima» richiesta da Arcore per evitare una resa dei conti immediata.
Qualcosa si muove, attorno a un Senato deserto. E l’atmosfera che si respira dev’essere abbastanza pesante se è vero, com’è vero, quello che sta capitando al presidente della giunta, Dario Stefano, eletto con Sel. «Vi prego di credermi», s’è sfogato dalle vacanze con alcuni compagni di partito, «che abbiamo davvero gli occhi dell’Italia addosso. Siamo di fronte a un passaggio delicatissimo. Io, che pure sono un signor nessuno, ho da settimane la casella di posta elettronica intasata da messaggi di cittadini di una parte e dell’altra, berlusconiani e antiberlusconiani…».
La giunta ha tempi fissati. Entro la mezzanotte del 29 agosto, Silvio Berlusconi ha tempo di presentare una memoria difensiva. Il 4 settembre, poi, l’ufficio di presidenza della giunta stabilirà l’ordine dei lavori della giornata del 9, quando si arriverà al voto. Se il testo del pidiellino relatore Andrea Augello venisse respinto dalla maggioranza Pd-Sel-M5S, si cambierebbe relatore. E si perderebbe ulteriore tempo rispetto a un voto, verosimilmente segreto, in cui l’Aula del Senato dovrebbe esprimersi sulla decadenza di Berlusconi. Si parla di fine settembre. Sono quelli i giorni in cui, se il Cavaliere decidesse per lo strappo, si dovrebbe trovare una nuova maggioranza per un nuovo governo.
Il numero magico è 158. E si torna ai «Gal», al gruppo di Compagna. «Di transfughi dal berlusconismo, per fare un nuovo governo ce ne vorrebbero una ventina, forse 25, per sicurezza 30. Ma secondo me», dice prudente, «non è quella la strada». Di certo, aggiunge il senatore «gallista», «uno come me ha tra i propri riferimenti Montesquieu e Machiavelli, non Daniela Santanchè…». E gli altri? Un altro componente del «Gal» è Paolo Naccarato, già «allievo» di Cossiga, eletto in quota Tremonti nelle liste della Lega. Giorni fa ha mandato questo sms a qualche amico: «Più i falchi estremizzano, più le colombe si organizzano…». E il fattore tempo è decisivo. L’ha capito anche il Cavaliere, che infatti per adesso non vorrebbe presentare una memoria difensiva che allungherebbe il brodo. Perché ora ci sono le schermaglie. Ora c’è il deputato pdl Sisto che scova un progetto di legge di due senatori del Pd, presentato a maggio, «che esclude la retroattività». «Ma questo è falso e privo di fondamento. Il nostro ddl riguarda reati amministrativi», replicano i diretti interessati, Isabella Del Monte e Giorgio Pagliari.
«Fuori» si discute di «salvacondotti» e «agibilità politica», di «commutazione della pena» e di «interventi della Consulta». Ma se salta lo stop alla giunta, e se Berlusconi non cede sue colombe, «dentro», al Senato, tornerà a scoccare l’ora del pallottoliere. E di quel numero magico che serve a una nuova maggioranza. Tre cifre, 158.


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