I sarcofagi distrutti e le chiese in fiamme così l’Egitto cancella i tesori della storia

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SARCOFAGI spaccati. Steli di geroglifici crepate. Chiese incendiate. E innumerevoli reperti rubati. Mentre l’Egitto in bilico guarda con ansia al suo futuro, il suo passato viene sfregiato. Per ora l’offesa più grande è avvenuta a Minya, 250 chilometri dalla capitale, dove la vittima collaterale del caos in corso è un museo nazionale delle antichità. Ma, con i focolai di protesta dei sostenitori dell’ex presidente Morsi che continuano ad accendersi improvvisamente qua e là, l’allarme per lo straordinario patrimonio storico-archeologico attraversa tutto l’esteso Egitto, dal Sinai, che ospita il Museo di Port Said, fino alla Valle dei Re di Tebe e ai più meridionali templi di Abu Simbel.
MINYA
La cittadina sul Nilo che si chiamava Men’at Khufu, quando nell’antichità era già un fiorente centro cotoniero, oggi si chiama Minya e ha una notevole rappresentanza cristiana, oltre il 35 per cento. Evidentemente mal digerita dagli islamisti. È qui, infatti, che sono avvenuti in questi giorni molti degli attacchi contro la minoranza copta egiziana, con tanto chiese bruciate e botteghe di fedeli danneggiate. Anche perché, secondo gli attivisti, la polizia è scomparsa in sette dei nove distretti della provincia, lasciando gli estremisti agire nell’impunità. Sarà anche per questo che dei vandali, giovedì notte, sono entrati con facilità nel museo nazionale Malawi. Ospitava oltre 1200 reperti, soprattutto appartenenti alla necropoli di Tuna el-Gebel: e ora non si sa quanti ne siano rimasti dentro. Il ministro delle Antichità Mohamed Ibrahim ha parlato «di grande perdita», e ha raccontato che il giardino del museo era stato scelto come luogo per il sit-in di protesta dai Fratelli musulmani. I quali avrebbero divelto il cancello, distrutto le videocamere di sorveglianza e fatto quindi razzie, dopo aver frantumato vetrine e monili per sfregio.
MUSEO EGIZIO DEL CAIRO
Incolpare la Fratellanza anche di saccheggi e vandalismo archeologico è un attimo, in questo momento: aiuta l’esercito a demonizzare i «terroristi» agli occhi del popolo. Del resto, è vero che l’iconoclasta furia islamista si è scagliata contro tesori di epoca pre-islamica tante volte nel mondo: docet il caso dei Buddha di Bamyan. Eppure, la confusione che regna in queste ore fomenta anche la delinquenza comune. È già successo: nei giorni tumultuosi che hanno preceduto la caduta di Mubarak, quando vennero assaltati il complesso di Luxor e il Museo egizio della capitale, danneggiando due mummie e disintegrando svariati vasi. Ma, in una Cairo blindata, il museo che ospita il maggior numero di reperti dell’antico Egitto al mondo, compresa la preziosa maschera funeraria di Tutankhamon, oggi appare comunque più protetto del resto del patrimonio del Paese.
VALLE DEI RE E LUXOR
«Un patrimonio ben tutelato, — spiega l’archeologo del Vicino Oriente Paolo Matthiae — ma vasto e spesso protetto da recinzioni che non è difficile superare ». È così per l’immensa Valle dei Re, dove fu scoperta anche la tomba di Tutankhamon; per il complesso di Karnak, che ospita anche l’insuperabile tempio di Luxor in quella che fu la città di Tebe; e per le tante necropoli e i templi minori disseminati sul territorio, dove riuscire a rubare anche un pezzo di fregio da rivendere al mercato nero può significare sfamare una famiglia per settimane, in un Egitto dove oggi regna il caos e i poveri sono il 20 per cento della popolazione.


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