«Forse siamo scivolati»: l’esame di coscienza di Cl

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RIMINI — Luigi Amicone, uno degli intellettuali più vicini al movimento, a metà della chiacchierata si concede un boccata di sincerità : «Ma sa che cosa c’è? È che forse noi a declinare in politica i nostri valori non siamo fortissimi. Ci vengono meglio altre cose, ecco. La formazione, l’educazione i percorsi di fede». Amicone commenta il fondo di Dario Di Vico sul Corriere che raccontava ieri del meeting di Rimini che si apriva (per la 34esima volta) e di una Comunione e liberazione che si trovava forse per la prima volta a (dover) fare i conti con gli abbagli della propria storia. «La cosa che però non mi convince è questa ossessione di valutare Cl solo dal punto di vista politico. È come se un osservatore guardasse al fenomeno della nostra esperienza umana rimanendo solo sulla soglia. Legittimo ma sviante».
La tentazione dell’egemonia. Emilia Guarnieri è la presidente della fondazione che ogni anno organizza materialmente la kermesse romagnola: «Ci metteva in guardia da questo rischio già don Giussani. Ed eravamo nel ‘76, figurarsi. Il fondo del Corriere è comunque una provocazione intelligente, una sfida che va colta». Poi anche qui torna il concetto di base. «La politica è un aspetto del nostro impegno. Lo dice anche papa Francesco: il nostro compito di cristiani è la testimonianza».
«“Vagliate tutto e trattenete quello che vale”. La frase è di San Paolo. È noi abbiamo sempre fatto così . Abbiamo incontrato e ascoltato tutti», suggerisce invece Antonio Intiglietta, uno dei capi della potentissima Compagnia delle opere lombarda. Cl amica del potente di turno? «Una persona è una persona. E noi non siamo amici dei potenti in quanto tali. Noi incontriamo e ascoltiamo ogni anno migliaia di persone. Quello che conta ed è sempre contato per noi è il valore dell’impegno, della testimonianza cristiana». Renato Farina, ex parlamentare del Pdl («Ora sono un esodato della politica», dice lui), sulla questione di una Cl troppo spregiudicata nelle «amicizie» politiche ha un’opinione per nulla scontata: «La tensione tra la purezza dell’ideale e la tentazione egemonica durerà fino alla fine dei tempi. È la dialettica di qualsiasi ambito umano. Però sempre, anche nei meeting più politici, in cui “aprivamo” ai socialisti o a Berlusconi, c’era una specie di nocciolo incandescente che superava i limiti, le ingenerosità e le generosità. Questa durerà sempre. Per venire all’oggi — aggiunge — Carron si è reso conto di uno scivolamento di molti ciellini impegnati in politica. Del tipo: “Se faccio opere buone, se riesco ad affermare buoni valori nell’amministrazione pubblica, allora ho realizzato il bene comune, e Cl e la Chiesa mi devono ringraziare, votare e perdonare i miei guai”. Non può più essere così. Non accadrà più che si appoggi in blocco un uomo o una lista».
Poi c’è l’altra questione che invece sta tutta dentro il movimento. La lite («Quale lite?», dice qualcuno, «Un piccolo screzio, al massimo») intorno alla mancata partecipazione di Roberto Formigoni ai dibattiti dell’edizione 2013: il segno dei tempi? La fine di una simbiosi trentennale? Il botta e risposta tra Bernhard Scholz, presidente della Cdo, e il Celeste, rimasto escluso dal palco romagnolo (e non era mai successo), non è comunque passato inosservato. «Ma anche tra amici può starci di avere opinioni diverse su una singola vicenda» minimizza Intiglietta dichiarandosi intanto d’accordo «al mille per mille» con le parole di Scholz. «Cosa ne penso io?» Luigi Amicone sospira: «Penso che potevano telefonarsi e chiarirsi: ecco cosa penso. Punto». Più «espansivo» Renato Farina: «Capisco l’amarezza di Roberto. Io gli voglio molto bene, e so che ci soffre molto, non per vanagloria, ma perché ha vissuto l’esclusione come una martellata sui chiodi piantatigli dalla procura milanese. Ha avuto l’impressione di essere abbandonato nelle mani del giudizio della piazza e della magistratura. E l’uscita di Bernhard non è stata il massimo, ma era un modo forse ingenuo per impedire che l’assenza di Formigoni fosse letta come una presa di distanza. Semplicemente, come è capitato a Del Piero, fa un turno in panchina».
Andrea Senesi


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