by Sergio Segio | 18 Agosto 2013 6:28
Tutti e quattro sono stati rilasciati a metà pomeriggio e assistiti dall’ambasciata italiana al Cairo. Ecco il racconto di Gabriella Simoni: «C’è stata un’aggressione mentre stavamo lavorando intorno alla moschea El Fath in piazza Ramses. Ci hanno aggredito perché avevamo la telecamera». Come Simoni e Gianniti ieri sono stati minacciati in vario modo molti dei reporter presenti per riprendere, anche con semplici telefonini, l’assedio alla moschea. Cronisti francesi, l’inviato del Wall Street Journal , Matt Bradley e quello dell’Independent , Alastair Beach.
Clima ostile alla stampa internazionale fin dalla prima mattinata, quando nello slargo della moschea sono cominciati ad arrivare gli avversari dei Fratelli musulmani, alcuni dei quali armati di bastone. L’accusa, una specie di slogan rivolto ai giornalisti, come ha raccontato anche Gabriella Simoni, è di «fare come Al Jazeera», cioè, questa è l’equazione, di offrire un’informazione parziale, sbilanciata a favore dei Fratelli musulmani. I militari si sono fatti garanti della sicurezza dei giornalisti. Ha riferito ancora Gabriella Simoni: «La cosa più difficile, tecnicamente, l’ho provata quando sono stata bendata, messa su una macchina e trasportata in un luogo ignoto. Una cosa che non avevo mai provato e che dà una sensazione di fragilità e di impotenza incredibile. Ci hanno controllato tutti i documenti, tutte le dichiarazioni che abbiamo fatto e soprattutto i nostri telefonini, il materiale che avevamo girato. Nel frattempo si è mossa l’ambasciata. Sono stati rapidissimi».
Ieri sera, subito dopo il rilascio, Maria Gianniti ha raccontato agli ascoltatori di Radio Uno Rai : «Siamo stati fermati, ma poi fortunatamente la cosa si è risolta. Questo fa capire un po’ il clima di tensione che c’è a piazza Ramses. Siamo stati portati via dai militari perché si sono preoccupati per la nostra sicurezza. Un qualcosa di assolutamente improvviso e paradossale. Comunque siamo stati veramente trattati con i guanti bianchi. Siamo stati semplicemente interrogati e ci è stato chiesto che cosa stessimo facendo in Egitto».
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