“Prezzi al consumo più alti” l’Antitrust punta il dito sul monopolio alimentare

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ROMA — Sette “supercentrali d’acquisto” che aggregano 21 catene della grande distribuzione, l’80% del mercato, appiattendo la contrattazione a danno di fornitori e consumatori. L’Autorità Garante della Concorrenza punta il dito contro l’eccessivo potere di mercato della grande distribuzione organizzata nel settore agroalimentare, in un’indagine conoscitiva appena pubblicata. Apparentemente l’esistenza di supercentrali che trattino con i fornitori per conto di un gran numero di rivenditori potrebbe essere un vantaggio: i prezzi si riducono, il consumatore paga meno il prodotto finale. Alla prova dei fatti, però, le cose non stanno così: i vantaggi ci sono, ma solo per i rivenditori. «Se le imprese che fanno parte della centrale acquistano congiuntamente una parte significativa dei propri prodotti e detengono un potere di mercato rilevante sui mercati a valle, esse potrebbero non avere adeguati incentivi a trasferire a valle i propri risparmi di costo», si legge nella relazione. In altre parole, perché le imprese, in grado di fare il bello e il cattivo tempo con i fornitori, dovrebbero far risparmiare il cliente finale? In fondo, in questo modo possono ampliare il loro margine di guadagno, a scapito dei produttori.
Anche perché le supercentrali non si limitano a imporre i prezzi ai fornitori. L’Antitrust rileva «un quadro di rapporti conflittuali tra produttori e Gdo relativamente ai contributi versati dai primi a fronte della prestazione di servizi espositivi, distributivi e promozionali: si tratta di una voce che in genere incide per circa il 40% sull’insieme delle condizioni economiche trattate». I distributori, cioè costringono i piccoli produttori all’acquisto di servizi che possono risultare anche «inadeguati rispetto al compenso versato», e ai quali di fatto condizionano la conclusione del contratto. Un assetto che, ribadisce l’Antitrust, «non sembra incentivare il trasferimento al consumatore dei vantaggi di costo degli acquisti».
L’Authority invece non esprime un giudizio particolarmente negativo sul grado di concentrazione del mercato: a gennaio 2011, periodo al quale si riferisce l’indagine, «il 90% delle quote di mercato risultava detenuta da circa 18 operatori, di cui solo 2 con una quota superiore al 10%, e 6 con una quota superiore al 5%». In assoluto, il grado di concentrazione «non risulta particolarmente elevato, soprattutto se confrontato con quello degli altri principali Paesi europei». La valutazione però si ribalta se si considerano i mercati locali. Leader nel maggior numero di province risulta Coopitalia che, in diverse province della Toscana e dell’Emilia, detiene quote di gran lunga superiori al 40%. Il secondo operatore è Conad, che in molte di queste province detiene insieme a Coop una quota superiore al 60%. Coop e Conad, leader nazionali della Gdo rispettivamente con una quota del 15% e del 10,5%, mostrano entrambe un grande livello d’integrazione, che va dalla gestione della collaborazione tra le cooperative al «controllo capillare del comportamento degli associati». Un elemento che indebolisce ulteriormente la competizione sui prezzi finali.
L’Antitrust si riserva quindi di «valutare con attenzione i nuovi assetti di mercato» e di ricorrere «a tutti gli strumenti di intervento previsti dalla normativa a tutela della concorrenza, valutando gli eventuali effetti anticompetitivi sul benessere del consumatore ». In particolare il riferimento è all’articolo 62 della legge 27 del 2012, che permette di «sanzionare condotte che rappresentano un indebito esercizio del potere contrattuale dal lato della domanda a danno dei fornitori».


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