Mugabe contro tutti. Tace l’Africa che «conta»
Ieri, a più di dieci giorni dalle scorse elezioni, il neo-rieletto presidente dello Zimbabwe, Robert Mugabe, ha tenuto il suo primo discorso ufficiale alla nazione in occasione della commemorazione dei caduti durante la guerra d’indipendenza. Questo ciò che passerà agli annali dell’informazione di Stato. Ben altre saranno invece le cronache non-governative delle testate anche solo un po’ indipendenti.
Dal santuario del National Heroes’ Acre l’ultra ottuagenario zar dello Zimbabwe ha senza titubanza alcuna lanciato i suoi strali contro presunti e potenziali oppositori, inveendo contro chi ha criticato l’esito elettorale del 31 luglio scorso e mandando al diavolo il rivale Morgan Tsvangirai e il suo partito – il Movement for Democratic Change (Mdc) – apostrofati per l’occasione «pupazzi patetici» e «tirapiedi finanziati dall’Occidente».
Forte del 61% dei voti – contro il 35% di Tsvangirai e il 3% di Welshman Ncube – e di una maggioranza parlamentare superiore ai due terzi ottenuta dallo Zanu-Pf, il suo partito, con 160 seggi su 210, Mugabe ieri si è fatto beffa più che dell’opposizione interna – al suo giogo da più di 30 anni – di quella occidentale, statunitense in primis.
Con arroganza e gergo da camerata, ha onorato l’Heroes’ day sputando veleno contro ogni voce contraria alla sua. La veemenza oratoria è stata tale da rendere chiaramente il senso dei suoi 33 anni di dittatura che nell’imposizione del potere politico e nell’oppressione di ogni diritto reitera la stigmatizzazione all’Occidente bianco. Se guardiamo all’Africa in un’ottica più estesamente geopolitica, ciò che emerge in questo caso è il doubleface della Nazione Arcobaleno. Lì un Nelson Mandela combattente di pace, votato alla riconciliazione più che alla vendetta, qui in Zimbabwe il nemico irriducibile che incarna la contrapposizione più radicale dei Paesi africani contro gli ex-colonizzatori bianchi.
L’atmosfera post-elettorale e l’attacco di Mugabe celebrano questa prospettiva, da molti leader e comuni cittadini africani taciuta ma de facto sostenuta, e fanno dell’ Heroes’ day il giorno ufficiale della discordia anti-occidentale, specificamente anti-europea. A dirla tutta, guardando alle reazioni di alcuni tra i più importanti Stati africani, ciò che è uscito dalle urne a questa tornata elettorale è stata la consacrazione a imperatore d’Africa di Robert Mugabe.
Contrariamente alle denunce di brogli elettorali avanzate dal Movement for Democratic Change (Mdc) e dagli osservatori europei, l’Unione Africana e la Southern African Development Community (Sadc), pur riconoscendo che qualche anomalia c’è stata, hanno ampiamente sostenuto i risultati elettorali e invitato tutte le parti ad accettarli. Alcuni capi di stato di Paesi confinanti, poi, non hanno esitato senza alcun imbarazzo a mandare calorose congratulazioni a Mugabe per la sua vittoria. Tra questi il presidente del Mozambico Armando Guebuza e – cosa che non stupisce affatto – il presidente del Sudafrica Jacob Zuma.
Tsvangirai non poteva vincere contro il sistema-Mugabe brandendo logiche e opponendo strategie politiche di miope respiro provinciale.
Quella che lui stesso ha definito una «frode monumentale», contro cui ha presentato ricorso presso la Corte Costituzionale, ha ricevuto il beneplacito dei Paesi africani «che contano», nonostante le denunce di brogli arrivate da più gruppi di osservatori esteri e locali come l’Election Support Network Zimbabwe (Zesn). E molto probabilmente anche il ricorso cadrà in un nulla di fatto se si pensa che buona parte – per essere ottimisti – del sistema giudiziario dello Zimbabwe è suddito di Mugabe.
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