«Cavaliere già incandidabile» Ma Lega e Pdl attaccano Stefano

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ROMA — Alla fine sarà un voto del Senato a decidere sulla decadenza dalla carica di parlamentare di Silvio Berlusconi che, sempre a causa della condanna definitiva per frode fiscale, rischia concretamente anche di non potersi candidare alle prossime elezioni perché la legge anticorruzione del 2012 ha posto una barriera per i pregiudicati prima ancora che si aprano le urne.
Sul primo aspetto (incandidabilità/ineleggibilità sopravvenuta) ci sarà a settembre un voto della giunta delle Elezioni del Senato che, pare entro ottobre, consegnerà la sua proposta all’aula per la decisione finale (è probabile lo scrutinio segreto).
Sul secondo aspetto di questa intricata vicenda (l’incandidabilità del condannato alle prossime elezioni) si è accesa una disputa tra il presidente della giunta, Dario Stefano (Sel), e il presidente della commissione Giustizia del Senato, Francesco Nitto Palma (Pdl). Il primo sostiene che anche in caso di elezioni anticipate Berlusconi è ineleggibile mentre l’ex Guardasigilli del Pdl argomenta che «sul punto la legge Severino è chiarissima» ma che «il Cavaliere farebbe comunque ricorso al Tar». Anche se poi, ammette Palma, «è molto probabile che il Tribunale amministrativo respingerà il ricorso che comunque per legge è consentito».
Il decreto attuativo della legge Cancellieri-Patron Griffi-Severino, adottato dal consiglio dei ministri a dicembre del 2012 dopo un vivacissima discussione, praticamente erige un muro tra chi è condannato a pene superiori ai due anni e la possibilità di candidarsi alla Camera e al Senato: i controlli preventivi sono affidati all’ufficio elettorale circoscrizionale (regionale se si tratta del Senato) contro le cui decisioni (cancellazione di liste o di candidati) è sempre possibile ricorrere all’Ufficio centrale nazionale.
Ecco, sostiene il presidente Stefano, «la legge Severino ha previsto vari livelli di vaglio delle candidature e mi sembra davvero impensabile che davanti a un nome così importante come quello di Berlusconi nessuno si accorga di nulla». Stefano cita il precedente del consigliere comunale di Sel Andrea Alzetta, detto «Tarzan», che a Roma è stato dichiarato non proclamabile a causa di una vecchia condanna definitiva del ‘96 relativa a una manifestazione degenerata in disordini nel 1990.
Il Pdl però, che continua ad agitare la minaccia delle elezioni anticipate, pensa alle contromisure. Per Nitto Palma «se l’aula del Senato non si dovesse pronunciare sulla decadenza di Berlusconi perché il governo cade prima e si sciolgono le Camere», sarà la corte d’Appello a decidere sulla candidabilità di Berlusconi, «fermo restando che si potrebbe fare ricorso al Tar». E Calderoli, che pure (come Stefano) non concorda sulla tesi del ricorso al Tar, disegna però lo stesso scenario: «Se dovessimo tornare al voto prima del pronunciamento del Senato, Berlusconi potrebbe candidarsi».
Il secondo campo di battaglia sul quale si regoleranno molti conti in sospeso è quello del Csm che il 5 settembre esaminerà in sede di prima commissione (trasferimenti d’ufficio per incompatibilità funzionale e/o ambientale) il caso del giudice Antonio Esposito che ha presieduto in Cassazione il collegio giudicante del processo Mediaset. La sua intervista a Il Mattino , che ha preceduto il deposito della motivazione atteso per fine settembre, è stata giudicata inopportuna e ora il file audio di 34 minuti della sua conversazione con il giornalista è diventato l’oggetto del desiderio del Pdl che ritiene di trovare in quel nastro un elemento decisivo per gettare discredito sul giudice Esposito. Quel file audio, però, non può essere acquisito d’ufficio dalla prima commissione Csm. Lo potrebbe fare, semmai, il giudice penale qualora la vicenda dell’intervista inopportuna finisse in Tribunale.
Dino Martirano


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