Il Pd chiude sull’agibilità ma teme per il governo: «Rischia di saltare tutto»

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ROMA — Al vertice del Pd la preoccupazione che a settembre Berlusconi decida di tagliare il filo che lo lega al governo ha raggiunto, nelle ultime ore, livelli da allarme rosso. Il Pdl è in pressing su Guglielmo Epifani, perché accetti di aprire uno spiraglio verso l’agibilità politica invocata da Berlusconi. Ma il segretario è sempre più convinto che un sentiero non ci sia, per quanto affannosamente le colombe del centrodestra, che siedono al governo, lo stiano cercando. E così al Nazareno si fa strada il timore che il Cavaliere possa davvero assestare a Enrico Letta la spallata finale. E che, in caso di voto anticipato, il partito possa essere costretto a schierare l’avversario che l’ex premier teme più di ogni altro: Matteo Renzi.
«Non possiamo fare alcuna apertura alle richieste del Pdl — ha spiegato il segretario del Pd ai suoi —. Non esiste alcuna via parlamentare per cambiare la situazione giudiziaria di un condannato in via definitiva e il rischio che Berlusconi decida di strappare è molto concreto». Raccontano al Pd che anche Massimo D’Alema sia «molto, molto preoccupato» per le sorti dell’esecutivo. L’ex capo del governo non vede profilarsi alcuna soluzione e, con chi ci ha parlato, si è mostrato piuttosto pessimista: «Il rischio che il governo salti è altissimo». Uno stato d’animo che, giorno dopo giorno, comincia a contagiare anche il premier. Da Baku, Letta ha ammonito i partiti: se si vota, a settembre si paga l’Imu. Segno che anche lui ha messo nel conto l’irreparabile. Quanto al destino politico di Berlusconi, il capo del governo vuole tenersi fuori, perseverando nell’unica strategia possibile: quella del fare. Perché, come ha detto Dario Franceschini ai suoi collaboratori, «non esistono soluzioni politiche a problemi giudiziari».
E dunque, per quanto la tensione con il Pdl abbia raggiunto il picco massimo, non è da Palazzo Chigi che potrà giungere a Berlusconi un segnale, anche se alcuni ministri del Pdl cerchino una sponda nei colleghi del Pd. «In uno Stato di diritto le sentenze si applicano, non ci sono altre strade da percorrere» stoppa ogni aspettativa Luigi Zanda, il presidente dei senatori democratici che, tre giorni fa, è andato da Napolitano a Castelporziano, con Epifani, Anna Finocchiaro e Roberto Speranza.
Dello stesso avviso è l’onorevole Nico Stumpo, determinato a riaffermare il principio che «le sentenze si rispettano e si applicano, in ragione delle leggi in vigore». D’altronde, tutte le strade che sono state esplorate nella più assoluta riservatezza, anche in casa democratica, si sono rivelate impercorribili: Berlusconi non ha espiato nemmeno un giorno di pena, ha altri «gravi» procedimenti in atto, non è stata presentata alcuna domanda di clemenza. L’unico viottolo, oltre alle prerogative del capo dello Stato, sarebbe la riforma o la cancellazione della legge Severino, ma anche su questo fronte i democratici non sono disponibili. «Non esistono scappatoie parlamentari — conferma Ermete Realacci —. Come ha sempre detto Renzi, Berlusconi bisogna abbatterlo politicamente, non per via giudiziaria. Ma non c’è da parte nostra alcuna volontà di forzare la legge per fargli un favore».
Nel Pd si sono convinti che il Cavaliere abbia una sola, disperatissima strada: portare il Paese al voto a rischio di intestarsi la zavorra dell’Imu e l’impennata degli spread. Ma Realacci spera che la ragionevolezza alla fine prevarrà: «La vera polizza di assicurazione sulla vita del governo, è Renzi. Se non avesse paura di lui, Berlusconi ci avrebbe già portati alle urne». Più la tensione aumenta, più questo tema si fa largo anche tra i «nemici» interni del sindaco. Ieri il primo cittadino di Firenze ha detto che intende restare a Palazzo Vecchio per un secondo giro: «Do per molto probabile la mia ricandidatura». Ma i renziani fanno capire che Matteo è pronto alla sfida. «Renzi avrà il compito non facile di guidare il partito — prevede Paolo Gentiloni —. Se invece si andrà alle elezioni, avrà il compito di vincerle».
Monica Guerzoni


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