«Accettare la sentenza» Il consiglio al Cavaliere per puntare all’«agibilità»

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ROMA — «Adesso devi accettare la sentenza. Accettare la sentenza non vuol dire non continuare a proclamarsi innocente o non combattere per la revisione del processo. Accettare la sentenza vuol dire riconoscerla …». Adesso c’è una nuova data, il 15 agosto. Un nuovo conto alla rovescia. E anche un «primo passo», che il fronte delle colombe capitanato da Gianni Letta ha cominciato a suggerire a Silvio Berlusconi. «Accettare la sentenza».
Perché la partita a scacchi con il Quirinale, che vede il Cavaliere in attesa di quel famoso «segnale», sta per entrare nel vivo. Esaurita la fase delle schermaglie, tutti i giocatori in campo sanno che al momento di muovere le prime pedine mancano ormai quattro giorni. Forse anche meno. Perché «entro Ferragosto», come s’è sentito dire l’ex premier dai suoi ambasciatori, formale o informale, diretto o indiretto, sarebbe in calendario il «secondo contatto» col Colle.
Che la data di Ferragosto (ma potrebbe essere anche il giorno prima) non sia campata in aria lo dimostra anche il vorticoso giro di telefonate tra i «falchi» berlusconiani che, al contrario di Letta e della truppa dei ministri, spingono sull’acceleratore per il voto anticipato. Giro di telefonate in cui in diversi hanno messo in circolazione la fantomatica voce secondo cui «anche se non è vero, stanno dicendo a Berlusconi che il 15 arriverà la grazia».
Berlusconi, che ieri ad Arcore ha festeggiato i 47 anni della figlia Marina e che oggi potrebbe trasferirsi per qualche giorno sul lago di Como, è convinto che «uno spiraglio» ci sia ancora. Infatti, non a caso, dosa perfettamente il ruolo del «poliziotto cattivo» («Siamo pronti a una controffensiva dura») con quello del «poliziotto buono». Come ha fatto con la frenata sulla discesa in campo della primogenita e anche con un segnale fatto pervenire al Colle sul dossier che sta più a cuore a Napolitano («Prima del voto, bisogna cambiare la legge elettorale»).
È come un puzzle a cui mancano ancora molti pezzi. Come un mosaico in cui «la figura» non s’intravede ancora. Ma un piccolo filo rosso, adesso quello c’è. Nel consigliargli di «accettare pubblicamente la sentenza», i pontieri col Quirinale hanno aggiunto più dettagli. Il primo è che la soluzione potrebbe coinvolgere anche il Pd, che con la posizione netta di Epifani è riuscito finora a impedire che la «base» iniziasse a protestare contro «le larghe intese con un condannato». La seconda è che Napolitano, ovviamente, non potrebbe in nessun modo mettere la faccia su un qualsiasi atto che preveda contemporaneamente la «salvezza umana» e l’«agibilità politica» del Cavaliere. Il quale da un suo ministro, l’altro giorno, se l’è sentito dire con franchezza: «Quando Togliatti firmò l’amnistia per i fascisti, mica quelli rifondarono il partito il giorno dopo…». Di conseguenza, dalle folli speranze sulla grazia all’impervia strada dell’amnistia passando per la commutazione della pena, c’è un primo passo, in questo schema di pacificazione, che toccherebbe al Cavaliere: l’accettazione della sentenza. A cui potrebbero seguirne degli altri, annuncio delle dimissioni da senatore (che comunque andrebbero votate dall’Aula) compreso. Ma questi sono comunque passaggi successivi al primo pedone mosso sulla scacchiera. A cui si arriverà solo se dopo Ferragosto il «canale diplomatico» sarà ancora aperto. L’ex premier, nel frattempo, ha autorizzato una campagna di affissioni della nuova «Forza Italia» (con tanto di sostegno «al Presidente»). E guarda con attenzione alla partita che i suoi legali giocheranno sulla revisione del processo. Un miraggio che può diventare realtà solo se dall’ascolto al Csm della telefonata tra il giudice Esposito e il giornalista del Mattino (dura 34 minuti, non i 4 noti a tutti) emergeranno quei «particolari inediti» a cui gli avvocati berlusconiani si appiglierebbero.
Tommaso Labate


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