by Sergio Segio | 9 Agosto 2013 6:39
C’ERANO una volta le chat, di Facebook e simili. Roba passata come le Yahoo answers, dove si trovano risposte a domande spesso improbabili. Ora, il parco giochi online della voglia di sapere e far sapere, conoscersi e sbirciare è Ask.fm. Piazza virtuale che s’affolla quotidianamente di 200 mila nuovi utenti. Dove la conversazione viaggia speditissima: 60 milioni di messaggi postati al giorno. Soprattutto da adolescenti. A volte da amici, spesso da sconosciuti. Una marea di pensieri praticamente incontrollati. Che, però, nell’anonimato della Rete che fomenta tracotanza diventano facilmente condanne, giudizi, insulti. Si «aska», si domanda e si risponde. Curiosità, voglia di comunicare e di stare in
compagnia, anche se ognuno da casa sua: «Che ti piace fare nel fine settimana?», «Uscire, dormire ». Abbondano i tentativi di adescamento, vanno forti le trivialità, a parole ma anche per immagini: «Sei supermega bella!!!», «Grazie dolce anonimo»; «Te la depili?», «Secondo te?». Un’esuberanza verbale che impiega un attimo a sconfinare in violenza. A volte in modo fatale: Hannah Smith, 14 anni, britannica del Leicestershire si è uccisa venerdì scorso perché non reggeva più il peso delle parole usate come accetta sul suo profilo.
Non è la prima volta, che il bullismo via web strappa via una vita. A gennaio era successo a Carolina Picchio, quattordicenne di Novara che, umiliata su Facebook, si è suicidata. Ma il social network di domande e risposte, più giovane e meno frequentato del sito di Mark Zuckerberg, è riuscito a guadagnarsi rapidamente la fama di “paradiso degli stalker”. In tre anni di vita, è stato accusato di aver indirettamente contribuito a toglierla ad almeno cinque giovani. La più grande di appena 16 anni: Jessica Laney, che a dicembre scorso aveva deciso di farla finita mettendosi un cappio al collo nella sua cameretta in Florida. Stesso metodo scelto da Hannah, schiacciata dalla valanga di brutalità postata sul suo profilo, dove degli anonimi che la apostrofavano come «vacca», la esortavano al suicidio. Così: «Ucciditi, saranno tutti più felici», «Ingozzati di candeggina », «A nessun importerà se muori, cretina».
«Quanti adolescenti devono ancora morire per abusi ricevuti online prima che qualcosa venga fatto?». Se lo chiede senza sosta e lo chiede al mondo, il papà di Hannah, Dave Smith che, dopo aver scoperto sulla bacheca digitale della figlia l’orrore che l’ha sopraffatta, ha aperto una pagina Facebook in sua memoria dove ha lanciato una petizione che chiede più misure di sicurezza su ask. Richiesta non isolata: il social che impazza tra i ragazzini, tanto da essere il 79esimo al mondo secondo la società di ranking digitale Comscore, e tra le 10 application più scaricate su Itunes, inizia a terrorizzare gli adulti. In Irlanda, dove nel 2012 sono morte suicide due frequentatrici di Ask, il governo ha chiesto un’indagine alla Lettonia, dove ha sede l’azienda. Nel Regno Unito, sotto la pressione di un’opinione pubblica sconvolta, il premier Cameron ieri ha invitato a boicottare la versione 2.0 del gioco “obbligo o verità”,
affermando che «chi gestisce questi siti deve dare prova di responsabilità, quello che possiamo fare noi utenti è non andare sui siti abietti». E qualche inserzionista gli ha già dato retta, ritirando la pubblicità.
A Riga, i fratelli Mark e Ilja Terebin, fondatori del network e figli di un ricco militare dell’Armata rossa, mesi fa scrollavano le spalle di fronte alle prime critiche. «Non date la colpa allo strumento», dichiaravano i due lettoni che, col sito che seduce 65 milioni di giovani grazie all’anonimato, hanno tra le mani una creatura da 65 milioni di dollari. «Bisogna andare alla radice del problema», la «mancanza di attenzione» dei genitori. Ora, dopo l’ultimo utentesuicida, promettono che collaboreranno con la polizia inglese. Ricordano che sul sito si possono segnalare gli abusi. E assicurano
che l’azienda è attenta «a far sì che Ask resti un ambiente sicuro» attraverso i suoi moderatori. Una cinquantina di “vigili” incaricati di setacciare lo tsunami di domande- risposte che arriva, spesso in criptici slang giovanili, dai 150 Paesi in cui il network è presente. Un battaglione contro un esercito, che dovrebbe stanare chi mente sull’età quando si registra (il sito è vietato ai minori di 13 anni). E scoprire in tempo le vittime dei “trolls”. Come questa ragazza italiana, che scrive a un’amica: «Aiutami. Non fanno altro che insultarmi, su Ask, Twitter, Facebook. Cerco di essere forte, ma fa male».
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