Scontro sulle primarie. Letta-Renzi, è gelo

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ROMA — Lo scenario che Enrico Letta evoca per contenere l’insofferenza dei democratici è forse il più indigeribile per i vertici del Pd, come per quelli del Pdl: se il governo cade si torna a votare e, con questa legge elettorale, non c’è altra strada che «nuove larghe intese». Il presidente del Consiglio parla alla direzione del suo partito e fa capire che non assisterà in silenzio alle manovre di chi vuole logorarlo, sfinirlo, costringerlo a deludere le attese.
Non c’è dunque alternativa al suo governo, è il messaggio di Letta. Senza credibilità e senza stabilità l’Italia rischia di disperdere i primi, timidi segnali di ripresa e il ruolo del Pd è fondamentale: «Non mi farò distrarre, il mio impegno è sulle politiche. Se viene meno l’unità del Pd in questo momento di sfilacciamento, il sistema rischia di venire giù». Una richiesta di «agibilità politica», che vuol dire lealtà, fedeltà e niente colpi bassi. E poiché anche Letta è pronto a tutto, pronto anche a staccar lui la spina, rilancia l’urgenza di cambiare il Porcellum in quella «finestra» che si aprirà a ottobre.
Nell’auletta del gruppo arriva anche Matteo Renzi, che mercoledì aveva sfidato i maggiorenti del Pd dicendo che lui prenderà i voti «se non ci sono quelli». I presenti hanno registrato tra i due una stretta di mano e una pacca sulla spalla, ma sia il momento dell’incontro che il commiato sono stati gelidi. Renzi ha chiacchierato e scherzato con i suoi, poi si è seduto in una zona defilata della sala accanto a Gentiloni e Giachetti. E a molti non è sfuggito che, per la seconda volta davanti al parlamentino del Pd, sia stato il presidente del Consiglio ad andare incontro a Renzi. E non viceversa.
C’è chi dice che anche Letta stia ragionando sull’idea degli ex Ds di accelerare la ricerca di un anti-Renzi, una personalità di sinistra in grado di contendere il partito al primo cittadino di Firenze. Faccende delle quali avrebbe parlato due giorni fa a Palazzo Chigi con Bersani, ma da cui, nell’ufficialità, il premier si tiene fuori.
L’identikit è quello di una figura in grado di raccogliere un consenso largo e che sia della stessa generazione di Renzi. Il nome individuato dai fedelissimi di Bersani, attivissimo come talent scout, è al momento quello di Roberto Speranza, il giovane capogruppo che gode di un largo apprezzamento presso i deputati. Ma niente è ancora deciso. Anche il viceministro Stefano Fassina ha le sue carte da giocare in questa partita, che si apre se il governo passa attraverso la cruna dell’ago di settembre e si consolida. Il problema è Gianni Cuperlo, che si è candidato da tempo e che non intende fare un passo indietro. Se il quadro non cambia, nei prossimi giorni le pressioni per convincerlo a rinunciare si intensificheranno, assieme ai tentativi di persuadere Massimo D’Alema ad accettare il sacrificio di Cuperlo.
Direzione rapida ma non indolore, con tanto di giallo sulla data del congresso. Dopo aver blindato il governo, Guglielmo Epifani ha fissato al 21 e 22 settembre l’assemblea nazionale, senza prendere impegni sulle assise. I renziani hanno protestato e alla fine Marina Sereni ha detto che le primarie si terranno il 24 novembre. Ma dal Nazareno fanno sapere che non è così e che la data può fissarla solo l’Assemblea, cui toccherà anche sciogliere il rebus sulla coincidenza, o meno, dei ruoli di segretario e premier. Quindi la data non c’è e Pippo Civati teme che non ci sarà mai: «Se la situazione precipita, forse le primarie nemmeno si fanno…».
Forte anche dell’asse con Angelino Alfano il premier pensa che il governo terrà, almeno fino a settembre. E ovviamente spera che le larghe intese reggano oltre, almeno fino al dicembre del 2014: «Il semestre europeo non è un espediente per far vivere sei mesi in più il governo. É un’occasione storica per l’Italia e per l’Europa». Il premier è fiducioso e «determinatissimo» ad andare avanti, pur sapendo che i momenti più difficili devono ancora arrivare. Epifani ha ribadito che nessun salvacondotto è possibile per Berlusconi e ha chiuso su una riforma della giustizia come la invoca il Pdl: «Fanno fede gli impegni del discorso programmatico sulla fiducia di Letta». E per rispondere agli attacchi del centrodestra dopo l’intervista al Corriere , il segretario ha chiarito che «questo è un governo di servizio, non di pacificazione». Nessuna «speculazione» sulla condanna di Berlusconi, ma la richiesta al Pdl di rinunciare alla logica del tanto peggio tanto meglio e di smetterla con «gli insulti, gli eccessi verbali e i toni» che lo hanno sommerso.
Monica Guerzoni


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