FEmminicidio. Un passo avanti ci aiuterà a cambiare
Gli esperti che si occupano da sempre del tema segnalano più falle (esempio: sicuri che ci saranno i fondi per l’assistenza legale alle vittime?), e l’insieme delle norme dovrà essere completato e migliorato, ma è davvero un passo in avanti.
Tanto più per un Paese come il nostro. Che viene da una storia profondamente marcata dalla supremazia e dalla violenza maschile. Basti ricordare l’arresto di Giulia Occhini, la Dama Bianca compagna di Fausto Coppi, incarcerata per «violazione degli obblighi di assistenza familiare, adulterio e condotta contraria al buon ordine della famiglia». O la voce dell’«Enciclopedia di polizia» a uso dei commissariati dedicata al tema: «È indiscutibile come il danno che dall’adulterio della donna ricade sul marito, sia infinitamente più grave del danno che dall’adulterio del marito ricade sulla moglie: una moglie tradita può essere compianta, un uomo ingannato è ridicolo se ignora, disonorato se sopporta, vituperevole se accetta cinicamente il suo stato…».
Per non dire della sentenza di Cassazione che esattamente trent’anni fa, nel 1983, nella scia della legge sul delitto d’onore abolita due anni prima, decise non solo la conferma della pena ridicola (quattro anni di cui due condonati) inflitta a uno che aveva ammazzato la moglie ma la «non iscrizione della condanna sul certificato penale dell’imputato». Perché mai sporcargli la fedina per aver solo assassinato una donna?
Era ora, che la legge affrontasse finalmente il tema del femminicidio. Se è vero che le donne uccise «in quanto donne», come spiega lo studioso Marzio Barbagli, erano una volta ancora di più e i delitti di questo genere sono via via calati come tanti altri reati ancestrali, è ancor più vero che questo sangue è diventato insopportabile.
Insopportabile scoprire che Rosy Bonanno è stata massacrata a coltellate a casa dei genitori dove si era rifugiata dopo avere inutilmente denunciato per sei volte il suo ex compagno assassino. Insopportabile leggere che i genitori di Ilaria Palummieri, uccisa con il fratello dall’ex fidanzato, hanno dovuto indebitarsi per pagare gli avvocati e perseguire l’assassino dei figli. Insopportabile scorrere, sul nostro blog «La 27ª ora» o sul sito inquantodonna.it i volti di Barbara e Roberta e Sandra e Francesca e Chiara e troppe altre uccise da mariti, compagni, fidanzati che magari poi telefonano per dire: «Finalmente l’ho fatto!».
La nuova legge prevede più poteri di intervento da parte delle forze dell’ordine, la possibilità di «buttar fuori di casa il marito violento», provvedimenti contro il «cyberbullismo», l’arresto obbligatorio in flagranza per il maltrattamento familiare (per quanto difficile da provare proprio perché la violenza domestica di solito avviene in casa) e lo stalking, l’irrevocabilità delle querele troppo spesso ritirate da mogli e fidanzate intimorite, una corsia preferenziale per i processi, il gratuito patrocinio che libererà tante donne «a carico» del carnefice dal peso di dover farsi prestare i soldi per perseguire il carnefice stesso.
Più d’uno ora dirà: belle parole e bei principi, ma da qui a risolvere i problemi… In realtà, leggi simili esistono già in Francia, in Spagna, in Gran Bretagna… Dove il sistema di regole Edv (Elimination Domestic Violence) messo a punto da Patricia Scotland, come spiega il libro di Simonetta Agnello Hornby «Il male che si deve raccontare», coinvolge gli operatori del Pronto soccorso e i posti di polizia, i datori di lavoro e i servizi sociali. E ha portato a un drastico aumento dei processi agli aggressori, una forte riduzione delle ritrattazioni, un calo enorme delle assoluzioni per assenza di prove e in definitiva a una diminuzione degli omicidi. Precipitati a Londra dai 49 del 2003 ai 5 del 2010.
È vero però che non c’è legge che possa da sola sanare un problema, guarire una ferita. E a nulla serviranno tutte le migliori idee e le migliori innovazioni delle nuove regole se dovesse mancare, da parte di chi dovrà raccogliere gli sfoghi, i pianti, le denunce delle vittime, la capacità di andare oltre il dovere burocratico. Per ascoltare, finalmente. E finalmente capire.
Gian Antonio Stella
Related Articles
«Pubblicate il filmato dell’uccisione di Maram e Ibrahim»
Cisgiordania. Dopo la morte dei figli al posto di blocco di Qalandiya, Saleh Abu Ismail sfida le autorità israeliane a diffondere le immagini dell’accaduto
Dal Mali al campo di Mberra, in fuga dalle violenze
Profughi dal Mali – Foto: www.mali-initiative.org.au
Secondo le stime dell’Unhcr, paesi come Burkina Faso, Niger e Mauritania ospitano insieme quasi 200.000 profughi del Mali, dislocati nei diversi campi sorti intorno alle frontiere. Il più grande è quello di Mberra, a 50 chilometri dal confine sudorientale della Mauritania: con i suoi 75 mila sfollati, in maggioranza di etnia tuareg, è diventata una vera e propria cittadella fatta di teli, container e teloni bianchi in pieno deserto.
Qatar, gli schiavi dei Mondiali di calcio “Lasciati morire senza acqua né cibo”