“Pusher ucciso, c’è un Rambo tra i carabinieri”
SANREMO — Bohli Kayes, il tunisino morto asfissiato perché tenuto schiacciato a terra dai militari che lo avevano arrestato per spaccio, potrebbe essere rimasto vittima di un Rambo da riviera. Un carabiniere molto zelante e poco preparato i cui modi erano anche mal tollerati dai suoi colleghi. Ed è infatti a causa di una faida interna all’Arma di questa ricca zona ai confini con Sanremo, se già nei giorni successivi un corvo in divisa si è incaricato di tenere alta l’attenzione della procura, inviando sui telefonini di alcuni militari una fotografia di Bohli esanime in caserma. E intanto un altro anonimo spediva buste con proiettili a Rambo e pure all’informatore che aveva “venduto” Bohli.
Lui, il sospettato numero uno, lo avevano soprannominato Rambo per i muscoli costruiti in palestra ma anche per le sue ambizioni da detective e soprattutto per i modi risolutivi che impiegava quando entrava in azione.
Rambo e i suoi due colleghi sono indagati per omicidio colposo dalla procura di Sanremo che cerca di capire chi abbia provocato la morte di Bohli Kayes lo scorso cinque giugno, nel centro di Riva Ligure. Il 36enne tunisino venne fermato dopo un inseguimento mentre spacciava, e nelle fasi concitate dell’arresto, ammanettato ai polsi e alle caviglie, almeno uno dei tre militari della pattuglia di Santo Stefano al Mare lo schiacciò a tal punto sulla schiena da impedirgli di respirare, facendolo morire un’ora più tardi per asfissia. Ma già al momento di essere caricato di peso sull’autopattuglia era probabilmente in stato di semi coscienza, e non è ancora chiaro se nel minuto impiegato dalla gazzella per raggiungere la caserma, abbia subito ulteriori pressioni sul torace.
Il procuratore capo Roberto Cavallone appena avuti i risultati dell’autopsia è stato molto chiaro: «Non è un caso Cucchi perché tutto si è consumato in un arco temporale massimo di tre minuti. Però è evidente che i carabinieri hanno abusato della forza, lo Stato deve farsi carico di questa morte e chiedere scusa ai familiari. Ora aspettiamo che i tre militari si convincano a spiegare come sono andate le cose in modo da evitare che l’Arma come istituzione abbia ingiustamente a risentire della pessima pubblicità di questa vicenda».
Ma tra i carabinieri la morte di Bohli è diventata anche una resa dei conti. L’insofferenza per i metodi di Rambo, per il suo volersi occupare di settori come lo spaccio in competizione con altri reparti, è esplosa dopo la morte del tunisino. Poche sere dopo, sui telefonini di alcuni militari è arrivata la foto scattata da uno dei carabinieri presenti la notte della tragedia: Bohli è a terra nell’ingresso della caserma, l’ambulanza deve ancora arrivare, la testa appoggia sulla giacca di una divisa. L’immagine, ora nelle mani della procura, è accompagnata da una didascalia: “Ecco come lo ha massacrato”. Nel mirino c’è sempre Rambo, ma chi lo accusa forse è mosso anche da rancori e invidie per encomi ricevuti o negati. Come se non bastasse anche le lettere minatorie con i proiettili sembrano provenire da ambienti dell’Arma. Le buste, intercettate nelle poste, sono indirizzate una a Rambo e l’altra al suo informatore, un pregiudicato che gli segnalò che Bohli, quella sera del 5 giugno, stava spacciando. Un verminaio che al procuratore Cavallone fa dire: «Sarà un brutto processo».
«Ma che andrà assolutamente fatto e il procuratore Cavallone si sta comportando benissimo — dice Sonia Alberti, la moglie di Bohli — I colpevoli dovranno essere puniti, per giustizia e perché i miei due figli che hanno perso il padre non crescano coltivando l’odio. Mio marito non era un santo ma neppure un violento. Era stato arrestato altre volte e qui a Sanremo i carabinieri si erano sempre comportati bene. Non so cosa sia accaduto quella sera. Tre giorni dopo dovevamo partire per la Tunisia, forse si era reso conto che sarebbe di nuovo finito dentro ed era scappato. Però nessuno in Italia deve morire a quel modo».
(ha collaborato daisy parodi)
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