Bolletta energetica salata per gli italiani 16 miliardi in più del resto d’Europa

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ROMA — Per accendere la luce nelle case e far marciare le aziende, l’Italia, ogni anno, paga 16 miliardi in più rispetto a quanto pagherebbe il resto dell’Europa. Una differenza pari all’1 per cento del Pil, uno scarto dalla media Ue che irrigidisce la competitività delle imprese e risucchia la spesa delle famiglie: solo per onorare la bolletta elettrica le prime mettono ogni anno sul piatto 3.500 in più rispetto alla medie delle concorrenti europee; mentre per le famiglie, la maggior spesa in bolletta si ferma ai 38 euro.
Uno studio della Confartigianato, analizzando i costi l’energia elettrica, ha scoperto che ogni 100 kwh consumati le aziende italiane pagano 19,5 euro, contro i 12,7 del resto dell’Eurozona. E che buona parte di tale divergenza è dovuta all’imposizione fiscale.
Un divario su cui sarebbe urgente intervenire. Soprattutto se dovesse essere confermato anche nei prossimi mesi il dato comunicato ieri da Terna. La società che gestisce la rete di trasmissione elettrica ha annunciato che a luglio, rispetto a giugno, i consumi sono cresciuti dell’1,5% «facendo intravedere nel profilo del trend una tendenza al recupero ». Nonostante il dato nazionale rispetto al luglio dell’anno scorso sia ancora in calo (con una domanda di energia scesa del 3,6%), ci sono però segnali in controtendenza, per un ritorno della domanda da parte delle aziende: lo rivela, soprattutto, il dato della Lombardia, dove rispetto a un anno fa la domanda di energia è salita dell’1,7% e del 2,5% rispetto al primo gennaio 2013.
Se tutto ciò venisse confermato, diventa ancora più urgente per intercettare la ripresa – ridurre i costi dell’energia. La penalizzazione è evidente: per le imprese il divario del prezzo dell’elettricità rispetto alle concorrenti europee tocca in media il più 53%, mentre per le famiglie l’aggravio è del 6,6% (in termini assoluti oltre 15,5 miliardi per le aziende e quasi uno per le famiglie). Sul fronte economico peggio di tutte stanno le prime quattro regioni esportatrici (Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Piemonte), sul fronte familiare sempre la Lombardia, seguita questa volta da Lazio, Sicilia e Campania.
«Per quanto riguarda le aziende, questi aggravi possono pesare anche sulla scelta di delocalizzare o di investire nel Paese. La competitività non è solo questione di costo del lavoro e di flessibilità » commenta Cesare Fumagalli, segretario nazionale della Confartigianato. «Una cosa che si può fare subito: incidere sulla questione fiscale».
Secondo lo studio, infatti, buona parte del gap è legata alle maggiori imposizioni: la tassazione sull’energia, in Italia, è del 25,8 per cento superiore a quella della media europea (del 71,5 se paragonata alla Spagna, del 36,4 con la Francia, del 17,7 per cento con la Germania). Un gap che a prezzi correnti vale 4,7 miliardi di costo ulteriore pagato dai contribuenti italiani rispetto ai «colleghi» europei. L’Italia, assicurano gli artigiani, è in testa alla media europea per peso del «fiscowattora»: una piccola impresa versa al fisco 6,05 euro ogni cento Kwh , con una incidenza del 30,3 per cento sul prezzo finale, Iva esclusa. «Il peso poggia soprattutto sulle Pmi alle quali non vengono riconosciuti gli sgravi concessi a chi supera i 200 mila kwh di consumo al mese – commenta Fumagalli – E’ da dieci anni che i piccoli, in proporzione, pagano dieci volte in più rispetto ai grandi. Smettiamolo di pensare solo a Imu e Iva: la questione energetica è prioritaria».


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