Renzi nell’Emilia rossa: è tempo per noi Letta deve agire, io non sono un alibi

Loading

CASTELFRANCO EMILIA (Modena) — Per Renzi in fondo a sinistra, dopo la balera. C’è una atmosfera e un pubblico da tempi andati, a questa Festa democratica che qui tutti chiamano con il suo vecchio nome.
All’improvviso e per un solo giorno Borgo Albergati, isola verde di Castelfranco Emilia, che sta proprio lì in mezzo, dodici chilometri da Modena, 25 da Bologna, diventa l’ombelico d’Italia. Uomini in pantaloncini corti e camicia a mezza manica, signore con ventaglio, pubblico da nostalgici Pci, attendono il rientro sulle scena nazionale del sindaco di Firenze, che proprio qui ha deciso di riprendere la parola dopo venti giorni di silenzio e di gran fracasso della nostra politica. Duemila persone, e un caldo proibitivo. Qualcosa è cambiato, in modo definitivo, nell’Emilia che non molto tempo fu bersaniana e ora funge da granaio renziano, come certificato dalla presenza in prima fila del potente segretario regionale Pd Stefano Bonaccini e di una miriade di piccoli sindaci. L’ingresso tra due ali di folla ricorda le presentazioni dei nuovi acquisti delle grandi squadre. «Mandali tutti a casa, Matteo», urlano le signore. «È lui, è lui» dice Nerini Mario, 69 anni di età e quaranta di tessera Pci-Pds eccetera. «È l’unico che può vincere» strilla, e tutti gli altri intorno annuiscono con vigore.
Il dato rilevante della giornata è proprio questo cambio di stagione intorno a Matteo Renzi, questa sua accettazione acritica nel ruolo del prescelto da parte di un pubblico fino a poco tempo fa molto scettico nei suoi confronti. Lui ne è consapevole. La prima questione viene archiviata dopo due minuti di riscaldamento dedicati alla confutazione del Non è tempo per noi, canzone del primo album del genius loci, anche se in realtà è reggiano, Luciano Ligabue. «Le sentenze vanno rispettate, la legge è uguale per tutti» dice Renzi a proposito di Berlusconi. Amen.
Il premier Enrico Letta sarà anche un carissimo amico, come ripete ogni due per tre, ma l’esecutivo da lui presieduto continua a sembrargli un po’ troppo preoccupato «dalla coniugazione del verbo durare, che è un riflesso doroteo». Vedi alla voce rinvio della legge sul finanziamento pubblico ai partiti, definita «un clamoroso autogol». Tra applausi crescenti, Renzi insiste: «Il governo dovrebbe invece badare solo al verbo fare. Io gli auguro di andare avanti fino al 2018, a patto che faccia le cose, cominciando da una nuova legge elettorale». Nonostante il periodo sabbatico, il nodo renziano di questi tempi era e resta il difficile equilibrio nei suoi rapporti con questo governo. «Io non sono nemico, sono uno che dice le cose in faccia: vada avanti, faccia quel che deve fare, ma senza cercare alibi» insiste il sindaco di Firenze, e insomma, in quanto a incoraggiamento siamo ai minimi sindacali. L’esecutivo di Letta proprio non gli piace, come appare evidente durante l’attacco a Beppe Grillo, «una delusione pazzesca, il vero sponsor della larghe intese», e la faccia che accompagna la frase è tutto un programma.
«Sei il futuro zio canta» gli grida un azzimato fan con imprecazione tutta emiliana. E lui parte in quarta sull’altro tasto dolente, non solo suo, a giudicare gli applausi e il darsi di gomito a ogni stoccata rifilata al Pd. L’emiliano Pierluigi Bersani viene fatto a pezzi in un minuto. «Fino alle primarie abbiamo parlato di problemi concreti, di strategie per l’Italia. Un attimo dopo siamo passati a “Lo smacchiamo”». Renzi afferma di volere è un partito democratico che non passa il suo tempo a immaginare «primarie socchiuse», battuta molto apprezzata in platea. Poi, rivolto a Guglielmo Epifani, va dritto al punto. «Oggi che è arrivata una sentenza e non una sconfitta elettorale, c’è bisogno di un Pd che non stia insieme perché di là c’è una minaccia, un nemico. È vent’anni che stiamo facendo tutto aspettando le mosse di Berlusconi. Almeno il Congresso del Pd possiamo farlo senza pensare a lui?».
La candidatura ufficiale al congresso ancora non arriva, ma insomma, ci siamo quasi. Pare di capire che non sarà una passeggiata, come dimostra il ritorno della rottamazione sotto altre spoglie. «Non farò mai la foglia di fico» dice più volte. È la risposta a chi gli dice di puntare dritto a Palazzo Chigi saltando la casella della segreteria del Pd. «Se non creiamo una nuova classe dirigente, io i voti degli italiani non li prendo. Io li prendo se non ci sono loro», ovvero quelli che gli stanno consigliando di lasciar stare la partita interna al Pd. L’applauso più lungo. Alla fine c’è tempo anche per la prova delle cucine, la visita ai volontari, come facevano sempre i vecchi segretari del Pci. Un giovane bersaniano in agguato gli urla che il suo è stato solo un «bla bla», gli ricorda il suo sostegno a Sergio Marchionne e la visita ad Arcore. Nerini Mario e gli altri partigiani renziani circondano minacciosi l’incauto giapponese nella giungla emiliana. Gli viene risparmiata la vita, anche perché l’orchestra Bergamini sta attaccando con la mazurca e il ballo liscio.
Marco Imarisio


Related Articles

Secessione, affondo di Napolitano “Grottesco uno Stato del Nord”

Loading

“Serve una nuova legge elettorale per scegliere i candidati”.   È il più forte stop del Colle alle pulsioni anti-italiane del partito di Umberto Bossi

Sesto, nuovo “tesoretto” in contanti a casa dell’architetto-intermediario

Loading

Trovati 43 mila euro a Sarno, il professionista che per conto di Penati ebbe un ruolo nell’affare Serravalle.  La spiegazione del difensore: “Soldi che servivano per una barca e un posto auto”. È il terzo caso di somme liquide ritenute dai pm possibili “tracce” di tangenti

Il rischio di tornare allo Statuto albertino

Loading

«La Corte costituzionale – informa la Consulta con il suo comunicato del 4 dicembre – in accoglimento del ricorso per conflitto proposto dal Presidente della Repubblica ha dichiarato che non spettava alla Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Palermo di valutare la rilevanza della documentazione relativa alle intercettazioni delle conversazioni telefoniche del Presidente della Repubblica, captate nell’ambito del procedimento penale n. 11609/08 e neppure spettava di omettere di chiederne al giudice l’immediata distruzione ai sensi dell’articolo 271, 3 comma, c.p.p. e con modalità  idonee ad assicurare la segretezza del loro contenuto, esclusa comunque la sottoposizione della stessa al contraddittorio delle parti».

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment