by Sergio Segio | 7 Agosto 2013 8:43
Bashar Assad l’altro giorno ha invocato l’uso della forza come unica strada per chiudere la partita con i ribelli armati. Da parte sua Ahmad Jarba, il capo della Coalizione Nazionale dell’opposizione, ha precisato che lui alla conferenza di Ginevra II sul futuro della Siria potrebbe anche andarci ma con in tasca molte «precondizioni».
Di fronte a queste posizioni che restringono i margini di una possibile trattativa, sono solo due le certezze per la Siria: che Ginevra II, evocata ieri anche dai ministri degli esteri di Italia e Russia, Emma Bonino e Serghiei Lavrov, non si farà neanche a settembre; e che si è consolidata la frattura in tre parti di un Paese che fino a due anni fa era altamente centralizzato, ognuna con una propria bandiera, forze di sicurezza e sistema giudiziario. In questo quadro sono avvenuti i sequestri del gesuita Paolo Dall’Oglio, da una settimana nelle mani di jihadisti islamici, e del giornalista de La Stampa Domenico Quirico. Bonino si è detta «speranzosa» su una positiva conclusione della vicenda di Quirico. «Vorrei dire a lui e sua moglie che non ci diamo per persi e continuiamo a cercare», ha affermato la ministra degli esteri.
Le linee di demarcazione emerse sul terreno sono mobili ma offrono indicazioni chiare. La Siria che abbiamo conosciuto fino alla primavera del 2011, con a capo Assad, ha una presa salda su un vasto corridoio che va dal confine meridionale con la Giordania, comprende Damasco e Homs (appena riconquistata dalle truppe governative) e arriva fino alla costa mediterranea, dove gran parte della popolazione appartiene alla setta alawita (sciita) del presidente. I ribelli, quasi tutti sunniti, controllano il territorio con parti di Idlib e Aleppo, lungo il fiume Eufrate, fino al confine a Est. Il territorio nord-orientale è in buona parte nelle mani della minoranza curda che difende la sua conquistata autonomia non più da Damasco (l’avversaria storica) ma dagli «arabi», ossia qaedisti e jihadisti, appoggiati da battaglioni e clan familiari legati all’«Esercito libero siriano» (Esl, la milizia che dovrebbe rispondere agli ordini della Coalizione Nazionale di Jarba). Una «spartizione» fluida che vede il governo centrale controllare nel Nord i capoluoghi, con l’eccezione di Raqqa e parti di Aleppo, e alcune basi militari e posti di blocco. Due giorni fa i qaedisti dello Stato Islamico in Iraq e nel Levante e del Fronte al Nusra hanno conquistato un’importante base aerea nel distretto di Aleppo dopo un assedio durato otto mesi. Ormai le autorità centrali sanno di non potere recuperare i territori persi a nord e concentrano gli sforzi nel centro e nel sud della Siria e intorno a Damasco per spazzare vie le ultime roccaforti dei ribelli.
Dietro le quinte della guerra civile si svolge un intenso commercio tra “nemici”, con jihadisti e qaedisti che attraverso oscuri mediatori vendono proprio al governo centrale il petrolio estratto dai giacimenti che controllano nel nord-est del Paese. Pozzi che stanno gradualmente passando alle milizie curde che, capeggiate dai Comitati di Protezione Popolare del partito Pyd (espressione locale del Pkk), da alcune settimane sono impegnate in combattimenti violenti con gli islamisti. I curdi hanno creato proprie forze di polizia e un sistema di istruzione che ha al suo centro l’insegnamento della lingua nazionale in sostituzione dell’arabo. I jihadisti e l’Els invece hanno messo un piedi, specie a Raqqa, strutture amministrative e giudiziarie fondate sulla legge coranica.
A Damasco e nel resto del territorio centromeridionale il potere centrale cerca di tenere in vita, tra le difficoltà della vita quotidiana e la crisi economica, la gestione precedente alla guerra civile fondata su di un modello sostanzialmente laico a garanzia delle minoranze etniche e religiose che puntellano la stabilità del regime. E sulla costa, risparmiata in gran parte dal conflitto, l’esistenza scorre più o meno come in passato. A Tartus e Latakiya le spiagge sono affollate di bagnanti in questi giorni. Non a caso i ribelli hanno lanciato un’offensiva negli ultimi giorni, nella zona a nord di Latakiya, allo scopo di «portare la guerra» a casa di Assad. Da lunedì è in corso un attacco su Qardaha – centro abitato con il mausoleo del padre del presidente, Hafez Assad – con 10 brigate jihadiste che hanno preso il controllo di una decina di piccoli centri alawiti nei pressi della cittadina di Salma, popolata invece da sunniti. Ahmad Abdelqader, un miliziano delle Brigate islamiste «Ahrar al-Jabal», uno dei gruppi coinvolti nell’operazione, ha detto a Zaman al Wasl che centinaia di famiglie alawite sono in fuga. Dopo Qardaha l’obiettivo è la stessa Latakiya (con un’ampia comunità sunnita). Ma questa regione è troppo importante per Assad e l’esercito governativo aiutato dalla milizia dei Comitati di Difesa Nazionale, ha lanciato la controffensiva con l’appoggio dell’aviazione.
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