Lo Zimbabwe si riconsegna al suo «padre-padrone»

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Secondo i dati parziali il partito Zanu Pf dell’eterno Robert Mugabe conquista la maggioranza assoluta nel Parlamento che dal 2008 era dominato dal Movimento per il cambiamento democratico di Morgan Tsvangirai, il grande sconfitto subito passato al contrattacco: «Queste elezioni sono una farsa e non riconosceremo il governo che ne uscirà».
«Un processo elettorale gravemente compromesso» da intimidazioni e palesi violazioni era stato denunciato da organizzazioni non governative e gruppi per i diritti umani. Secondo le stime circa un milione di persone non avrebbe potuto votare nel caos dei seggi delle aree rurali, tra elettori non registrati correttamente, scambi di uffici e sospetti accompagnatori alle urne. La Bbc racconta di insegnanti di villaggio costretti a dichiararsi analfabeti per poter delegare il proprio voto. Ma gli osservatori ufficiali della Comunità dello sviluppo dell’Africa australe, gli unici ammessi, hanno definito le elezioni «libere e pacifiche — come ha dichiarato il capo della missione Bernard Membe —. Non diciamo “giuste” perché si tratta di una questione complessa che stiamo ancora esaminando». Dichiarazioni contraddittorie che non aiutano a mantenere la calma in un Paese piegato dalla crisi economica e dall’iperinflazione del 2008-2009, ancora oggi senza valuta nazionale (usa monete straniere come rand sudafricano, pula del Botswana, euro e dollaro americano) e governato con pugno di ferro da 33 anni.
Al potere dal 1980, anno dell’indipendenza dalla Gran Bretagna, l’89enne padre-padrone della nazione promette di portare avanti il programma di «indigenizzazione» che finora ha redistribuito buona parte dei terreni di proprietà dei bianchi alla popolazione nera. Gli analisti temono per il futuro uno scivolamento verso misure populiste sempre più radicali che rischierebbero di aggravare la crisi. Il 61enne Tsvangirai, che in vantaggio al primo turno delle presidenziali del 2008 fu costretto a ritirarsi per i violenti disordini scatenati dai sostenitori di Mugabe, aveva accettato l’incarico di primo ministro nel governo di unità nazionale che in questi anni si è dimostrato incapace di sbloccare l’impasse.
Il Movimento, che riunirà oggi gli stati generali per definire i prossimi passi, annuncia manifestazioni di piazza e denuncia la mobilitazione di esercito e polizia pronti a reprimere le proteste. Preoccupata la comunità internazionale che lo scorso marzo aveva allentato le sanzioni dopo il «pacifico referendum» sulla nuova Costituzione. La Carta riduce i poteri del presidente ed estende le libertà civili: se il conteggio confermerà la maggioranza dei due terzi, Mugabe potrà modificarla.
Maria Serena Natale


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