“Ma Edward non è un traditore la sua è disobbedienza civile”

by Sergio Segio | 2 Agosto 2013 6:53

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LA DOMANDA è questa: se Edward Snowden, il giovane “whistleblower” americano da ieri rifugiato in Russia, debba essere additato come un eroe oppure un traditore. Per un filosofo come Michael Walzer la risposta è nettissima: «Macché traditore. Snowden ha compiuto un atto di disobbedienza civile». Con l’aura illustre che lo accompagna dopo aver trattato per decenni le questioni di etica e morale sullo scabroso terreno della politica, il polemista suggerisce una linea di condotta: «Mi auguro che gli animi si acquietino. Che magari, da qui a un anno, Snowden possa tornare in patria e affrontare un processo per infrazioni di minore importanza».
Professore Walzer, l’asilo concesso a Snowden approfondisce la crisi fra Washington e Mosca?
«L’asilo temporaneo è uno schiaffo in faccia più lieve rispetto a un asilo politico permanente. È probabile che sia il risultato di un compromesso raggiunto dietro le quinte fra le diplomazie russa e americana. Me lo auguro, quanto meno».
Lei inserisce Snowden nel filone storico della disobbedienza civile, e però lo ritiene meritevole di una condanna?
«Come me lo pensa anche la maggioranza degli americani interpellati dai sondaggi. Snowden è un “whistle blower”, uno che “spiffera” la verità: non un criminale. Ha compiuto un atto coraggioso: ha divulgato informazioni che avrebbero dovuto essere di pubblico dominio. Chi si comporta così, sa che lo aspetta una punizione. Ma il governo ha minacciato una condanna a tal punto eccessiva, che Snowden ha fatto bene a fuggire».
Lei si aspettava l’intransigenza del presidente Obama?
«Obama è meno “trasparente” rispetto alle sue promesse. Però, nell’euforia della sua elezione, nel 2008, molti gli hanno costruito un’immagine più “liberal” di quanto egli lo sia. In realtà Obama è un centrista: un uomo politico estremamente cauto».
Qual è, a suo avviso, il contributo di Snowden?
«Dopo l’approvazione del Patriot Act in seguito agli attentati del 2001, né la gente e nemmeno il Congresso sapevano appieno cosa fosse stato concordato. Gran parte degli americani non ha mai conosciuto una privazione delle libertà. Perciò le rivelazioni dell’ex analista della Nsa hanno provocato tanto sconcerto. Sono state il primo segnale che viviamo sotto un governo diverso rispetto a quel che immaginavamo. Snowden ha innescato un dibattito, ha cambiato l’atmosfera. Da tempo il governo non era stato messo alla prova della disobbedienza civile. I primi a farlo sono stati lui e il soldato Bradley Manning».
Lei come giudica Manning?
«Anche lui ha commesso un atto di disobbedienza civile, per certi versi più grave perché non ha selezionato bene i documenti da pubblicare: alcune carte, a mio avviso, dovevano rimanere segrete. Certe cose, nella diplomazia, possono essere condotte soltanto in privato. Mi congratulo, però, che lui sia stato assolto dall’accusa d’avere aiutato il nemico ».
Snowden, Manning, Assange: sono una nuova generazione di “whistleblowers”?
«Io, francamente, toglierei Assange dal trio: lui sembra professare una “trasparenza” senza limiti, una sorta di anarchia. Ma persino i più “liberal” ammettono che i governi a volte debbano poter deliberare senza che tutto sia trasmesso al mondo intero».

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