CRONACHE DI VIAGGIO LÀ DOVE IL PIANETA HA SMESSO DI VIVERE

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Pochi anni fa Donovan Webster pubblicò per Corbaccio un diario di viaggio desolato e illuminante, dal titolo Le terre di Caino. Quel che resta della guerra.
Le sue pagine analizzavano cinque zone segnate da altrettante battaglie. Il percorso cominciava con la foresta francese in cui si svolse il primo conflitto mondiale e proseguiva nelle regioni della Russia devastate dal secondo, per spostarsi in un poligono di tiro allestito in Nevada tra il 1951 e il 1963, poi nelle pianure vietnamite, e infine nel Kuwait segnato dall’invasione del 1990. Scorrevano davanti ai nostri i occhi gli sterminati ossari dei soldati tedeschi abbandonati intorno a Stalingrado, gli allevamenti di carpe ricavati in Estremo Oriente dentro i laghetti prodotti dai bombardamenti, la vetrificazione di un deserto dopo gli esperimenti nucleari negli Usa, oppure la metaformosi degli elicotteri americani, abbattuti trent’anni fa e trasformati in fiammanti autovetture giapponesi.
A qualcosa del genere fa adesso pensare il libro di Andrew Blackwell, Benvenuti a Chernobyl. E altre avventure nei luoghi più inquinati del mondo
(Laterza, pagg. 328, euro 18). Rispondendo in maniera provocatoria alla moda dell’ecoturismo, il testo propone un “turismo degli ecodisastri”. L’autore ha infatti compiuto sette sopralluoghi nei posti più degradati del pianeta. Oltre alla città fantasma di Chernobyl, luogo dell’incidente nucleare verificatosi nel 1986, Blackwell visita le sabbie bituminose nello stato canadese dell’Alberta settentrionale, soggiorna nei pressi dei primi giacimenti di petrolio di Port Arthur, in Texas, naviga nel Pacifico alla ricerca di un’isola galleggiante composta da rifiuti di plastica, attraversa le foreste pluviali dell’Amazzonia barbaramente disboscate e sfigurate dalle coltivazioni di soia, giunge nelle miniere di carbone in Cina per incontrare un bambino di otto anni che smonta vecchi computer, e per concludere scende lungo lo Yamura, un sacro fiume indiano ormai completamente saturo di liquami. Per cogliere il senso dell’impresa, può essere utile cominciare dalle impressioni dell’arrivo a Kanpur, definita dalle autorità di Nuova Delhi come la città più inquinata del paese. Per tre giorni il viaggiatore si aggira fra impianti disastrati di trattamento delle acque reflue, discariche industriali illegali, concerie tossiche, condotte fognarie. «Non riuscivo a spiegarmelo», confessa: «Andavo matto per i rifiuti industriali? Ero una specie di guardone ambientale? Non si trattava di questo. A Kanpur avevo trovato qualcosa che non avevo mai incontrato altrove […] Una traccia del futuro, e anche del presente. E di qualco-s’altro, qualcosa di bello in un modo inafferrabile e misterioso ». Analoga reazione si riscontra davanti a un paesaggio marino: «Invece di trovare ecosistemi degradati che avrei potuto trattare come se fossero stati belli, quello che trovavo era bellezza. Il mondo mi aveva preceduto. Cercavo una terra desolata radioattiva e trovavo un giardino radioattivo. Cercavo la Chiazza di Immondizia del Pacifico e trovavo l’Oceano Pacifico».
Ma ben al di là dell’atteggiamento complessivo assunto da Blackwell nei riguardi del proprio oggetto di studio, il valore del racconto (talvolta prolisso, e non sempre riuscito come quello di Webster), sta nell’attenta descrizione dei paesaggi. Una delle parti più impressionanti del volume è rappresentata dal potente, irreale resoconto d’apertura, dedicato alla più grande area disabitata dall’uomo in Europa: la cosiddetta Zona di Esclusione di Chernobyl. L’arrivo silenzioso, scivolando con una barca a motore tra distese di canne palustri, è di rara efficacia.
Mentre una giovane donna seduta a prua scruta lontano sull’acqua, un bip acuto irrompe nell’atmosfera sognante: «Olena guarda l’apparecchio che ha in mano. È un rivelatore di radiazioni. L’abbiamo comprato a Kiev pochi giorni fa. “Venti”, legge ad alta voce. “Direi che stiamo andando nella direzione giusta”. Sono quasi certo che siamo arrivati a destinazione. Da qualche parte, tra le libellule e le ninfee, abbiamo attraversato un confine. Una frontiera a cui fanno da guardia solo aironi che veleggiano e rane che gracidano. Ci siamo appena infiltrati nell’ecosistema più radioattivo del mondo».
Insomma, che sia un incidente nucleare o la deforestazione del polmone amazzonico della Terra, il risultato rimane sempre uguale: un’infinita varietà di sfregi che l’uomo ha inferto all’ambiente, senza rendersi conto di colpire se stesso. Sconvolgente in tal senso la passeggiata, in Cina, lungo una enorme distesa di rottami fatti da cellulari, circuiti stampati e tastiere di computer. Forse per questo viene da pensare a Gregory Bateson, antropologo, pioniere della cibernetica, psichiatra, secondo cui l’atteggiamento aggressivo e predatorio dell’uomo nei confronti del suo habitat porterà ad annientare il pianeta.
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IL LIBRO
Benvenuti a Chernobyl
di Andrew Blackwell (Laterza, pagg. 344, euro 18)


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