«Guardare avanti» Napolitano tenta di salvare l’esecutivo
ROMA — Stavolta è qualcosa di molto diverso dalla scontata e quasi rituale secchiata d’acqua sul fuoco, prima che nel campo della politica divampi l’incendio. Stavolta, quello di Giorgio Napolitano è un appello — carico d’ansia — a chiudere una guerra trascinatasi per vent’anni. A farlo, se non altro, per carità di patria. A guardare avanti nonostante tutto, rinunciando alle reazioni emotive, a far saltare il banco. Preservando invece la «continuità dell’azione di governo». Infatti, ricorda il presidente, «la strada maestra da seguire è sempre stata quella della fiducia e del rispetto verso la magistratura, che è chiamata a indagare e giudicare in piena autonomia e indipendenza alla luce di principi costituzionali e secondo le procedure di legge».
Napolitano ammette che «attorno al processo in Cassazione per il caso Mediaset e all’attesa della sentenza, il clima è stato più rispettoso e disteso che in occasione di altri procedimenti in cui era coinvolto Berlusconi». E riconosce che «ciò è stato positivo per tutti». Ma proprio per questo si sbilancia in un invito alla responsabilità (in primis del Cavaliere, com’è ovvio, ma non solo da parte sua) che ieri sera appariva onestamente azzardato chiedere, dato lo choc generale. Diciamolo pure: un pio desiderio, quasi un esorcismo, se si considera che finora non si è mai riusciti a evitare quelle «sovrapposizioni improprie» tra politica e magistratura che ci intossicano e che il presidente da tempo insiste affinché siano rimosse. «Ritengo e auspico», spiega, «che possano ora aprirsi condizioni più favorevoli per l’esame, in Parlamento, di quei problemi relativi all’amministrazione della giustizia, già efficacemente prospettati nella relazione del gruppo di lavoro da me istituito il 20 marzo scorso».
Insomma, l’esito traumatico e definitivo sancito dalla condanna della Cassazione secondo lui non può travolgere tutto. Suggerisce anzi che da adesso potrà forse cadere il carico di pregiudizi e sospetti determinato dalla posizione personale di Berlusconi e si potranno forse creare le condizioni adatte a mettere mano al cantiere delle riforme, anche a quella — tanto invocata quanto inevasa — sulla giustizia. «Per uscire dalla crisi dalla crisi in cui si trova e per darsi una nuova prospettiva di sviluppo, il Paese ha bisogno di ritrovare serenità e coesione su temi istituzionali di cruciale importanza che lo hanno visto per troppi anni aspramente diviso e impotente a riformarsi».
Questo il testo della nota che il presidente ha fatto diffondere dal suo albergo in montagna all’ora di cena, poco dopo la lettura della sentenza. Un messaggio che aveva scritto da solo nella propria camera, nel pomeriggio, prima ancora che la Cassazione si esprimesse e senza conoscere la decisione che i giudici avrebbero poi preso: ha ascoltato il verdetto in tv, gli è parso adeguato comunque, e l’ha dettato al Quirinale. Con un intento preciso, che ha il valore di un’offerta a un Pdl emotivamente molto scosso e, soprattutto, ancora indeciso sui passi da compiere. Questo: anziché abbandonarvi a soliti anatemi sulla fine della democrazia, sulle toghe politicizzate, sulla persecuzione giudiziaria del Cavaliere, perché non utilizzate questa svolta per riprendere in mano le ipotesi di riforma abbozzate dal comitato dei saggi in cui sedevano, fra gli altri, Violante, Quagliariello e Onida?
Marzio Breda
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IL CAVALIERE ALIENO
Colpisce, ma non stupisce, il “processo” pubblico istruito dal Partito popolare europeo nei confronti di Berlusconi. Anche se il Cavaliere lo ignora, quella è idealmente la «casa» di Konrad Adenauer e Helmut Kohl. Di Alcide De Gasperi e di Aldo Moro. Non basta definirsi banalmente «moderati» in un salotto televisivo, o proclamarsi genericamente «europeisti» in una conferenza stampa, per essere riconosciuti come inquilini degni di abitarla, nel solco della tradizione del cattolicesimo liberal-democratico e del “canone occidentale” adottato dai padri fondatori.