E Silvio rincuora i suoi: non è finita e non farò cadere io il governo

by Sergio Segio | 2 Agosto 2013 6:17

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ROMA — Battezza Forza Italia sulla sua condanna. Prova a costruire sulla propria fine un nuovo inizio. E dice «non è finita, non è finita qui. Continueremo a combattere. Sono ancora in piedi». Sebbene la sentenza della Cassazione gli abbia appena dichiarato scacco matto, Berlusconi rincuora i dirigenti del Pdl invece di farsi rincuorare. Non si capisce dove poggi il suo convincimento sul fatto che «torneremo a vincere», mentre è evidente la sua determinazione nel non voler accettare «né i servizi sociali né gli arresti domiciliari: dovranno portarmi in galera».
Eppure il Cavaliere sa che la sua carriera parlamentare è al capolinea, che per effetto del decreto anticorruzione del 2012 — varato dal governo Monti e votato anche dal centrodestra — sarà incandidabile per i prossimi sei anni. E sa anche che dovrà decidere in poche ore cosa fare, se opporsi contro la decadenza da senatore, o dimettersi per evitare che il voto della giunta di Palazzo Madama inneschi la crisi. Perché è possibile che la Procura di Milano trasmetta già la prossima settimana al Senato la sentenza di condanna, e non c’è dubbio — come dice Casini — che «se si arrivasse al voto il governo deflagrerebbe».
Così una valutazione che formalmente riguarda solo la sua carica, di fatto diventa un gesto che può decretare la continuazione o la conclusione dell’esperienza di larghe intese. Non è dato sapere quanto a lungo l’esecutivo potrà durare: l’altro ieri i ministri del Pdl erano convinti che non avrebbe retto a fronte di un verdetto avverso al Cavaliere, perché le spinte contrapposte ne avrebbero provocato l’implosione. Poche ore dopo la decisione della Cassazione, si sono visti i primi effetti: la Lega da una parte e Sel dall’altra sono partiti all’attacco di Palazzo Chigi, e nel Pd i renziani hanno dato il loro contributo alle picconate. Come non bastasse, la dichiarazione del segretario democratico — che ha di fatto anticipato il voto del proprio gruppo nella giunta del Senato — è stata vissuta dal Pdl come una «provocazione».
Ecco il punto: è come se nella «strana maggioranza» fosse iniziato il vecchio gioco del cerino, il tentativo cioè di scaricare la colpa dell’eventuale crisi sull’«alleato». Berlusconi non intende lasciare le proprie impronte sulla spina, «non sarò io ad assumermi la responsabilità di far cadere il governo in questa grave fase di crisi economica». Piuttosto vuol mettere alla prova la tenuta del Pd, che è già in sofferenza, e vuol capire l’effetto che fa sui democratici dover restare in maggioranza con un partito il cui capo è stato condannato. I motivi della scelta (tattica) del Cavaliere sono tanti, compresa la volontà di non entrare in aperto conflitto con Napolitano, che a sua volta sta provando a tenere il governo al riparo dalle tensioni. Ma fino a quando ci riuscirà? Le minacce non vengono certo dalle dimissioni da sottosegretario di Biancofiore e Miccichè, che hanno polemicamente consegnato il loro mandato «nelle mani di Berlusconi». Il grimaldello era e resta l’eterno conflitto sulla giustizia.
Non è un caso se il leader del centrodestra è tornato a puntare l’indice contro «un ordine che si è fatto potere», evitando in pubblico i toni usati nelle conversazioni riservate, specie dopo aver sentito dal suo avvocato Coppi che «fosse stato un comune cittadino, la sentenza sarebbe stata diversa»: «Nella magistratura — secondo Berlusconi — c’è un cancro che va combattuto e debellato». C’è un motivo quindi se Napolitano ieri ha esternato la necessità che le Camere varino subito la riforma della giustizia, in modo da tenere la questione nel recinto parlamentare e depotenziare gli effetti dei referendum radicali, che certamente il Cavaliere ora sottoscriverà e che — così ha promesso il coordinatore Verdini — vedranno «l’impegno forte del partito» per la raccolta delle firme.
È inevitabile quindi che la tensione sia destinata a salire, così com’è chiaro che Berlusconi sia chiamato a decidere rapidamente. I primi effetti (clamorosi) potrebbero vedersi sulla squadra di governo, mentre alcuni ministri — pochi minuti dopo la sentenza — già valutavano l’ipotesi della finestra elettorale di primavera per le elezioni politiche, in anticipo rispetto alle consultazioni europee. L’ultima parola toccherà come sempre al Cavaliere, che nel video-messaggio non si è espresso sul governo, mentre ha citato gli alleati della Lega invitando gli elettori a «votare» per Forza Italia.
Al crocevia, l’ultimo, della sua stagione politica il leader del centrodestra è chiamato a sciogliere molti nodi e tutti insieme. C’è da capire anzitutto se sosterrà il governo o porterà alle estreme conseguenze il gioco del cerino con il Pd. Nel primo caso, pur restando il capo carismatico del proprio partito, sarebbe evidente che — con l’andare del tempo — la sua figura finirebbe progressivamente (e rapidamente) per tramontare, con effetti sulla tenuta del gruppo dirigente. C’è da stabilire quali saranno gli assetti di Forza Italia, i suoi potenziali alleati, il nuovo candidato premier. Più passerà il tempo, più il suo potere contrattuale sarà destinato ad affievolirsi. Ecco perché la sentenza della Cassazione non è solo uno scacco matto a Berlusconi, ma anche al Pdl e a ciò che è stato per venti anni il centrodestra. Eppure il Cavaliere continua a ripetere che «torneremo a vincere».
Francesco Verderami

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