L’Infinito di Baudelaire è un duello con la natura

by Sergio Segio | 1 Agosto 2013 8:40

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In apparenza, quella di Baudelaire sembrava un’esaltazione dell’Infinito romantico: «è una grande delizia annegare il proprio sguardo nell’immensità del cielo e della terra»: «solitudine, silenzio, incomparabile castità dell’azzurro»: «una piccola vela freme all’orizzonte», e colla sua piccolezza e col suo isolamento «imita la irrimediabile esistenza» di Baudelaire, solitario ed estraneo a qualsiasi cosa; «melodiosa monotonia dell’onda». Tutte queste cose — cielo azzurro, mare, vela, solitudine, fantasticherie del poeta — pensavano attraverso Baudelaire, e Baudelaire pensava attraverso di loro: ma pensava in modo puramente musicale, senza il peso astratto di un sillogismo, di una deduzione o di un’arguzia.
Baudelaire non conquistò l’infinito per espansione, dilatazione, estasi, grido erotico di ebbrezza, come Rousseau nei suoi libri.

Egli penetrava fisicamente ognuno di questi pensieri: li rendeva acuti ed intensi; suscitava in loro un’energia voluttuosa, che creava malessere e sofferenza. I pensieri acquistavano la sostanza di nervi troppo tesi, che producevano delle vibrazioni stridule e dolorose. «Non c’è punta più affilata — insisteva Baudelaire — di quella dell’infinito»: infinito che ferisce, taglia le sensazioni, i sentimenti, le immagini, i pensieri, le anime, i corpi, e fa soffrire atrocemente. Allora la profondità del cielo costernava il poeta, la sua limpidezza lo esasperava, l’insensibilità del mare lo rivoltava, l’immobilità dell’universo lo offendeva. La natura è una incantatrice spietata: una rivale sempre vittoriosa. Leggendo l’apertura del Confiteor dell’artista, avevamo creduto che la natura e il poeta collaborassero, e da questa collaborazione di sensazioni e di desideri nascesse il bello sovrano, silenzioso e incomparabilmente casto. Ci eravamo sbagliati. Tra la natura e l’artista non c’è nessuna collaborazione, nessuna armonia, nessuna quiete. Il loro è un duello terribile: sempre di continuo, davanti ai nostri occhi, l’acume affilato della punta lacera la morbida espansione dell’infinito.

L’artista sta per venire sopraffatto dalla natura spietata, e grida di spavento e di terrore. Ma questo grido è la bellezza, che Baudelaire offre ai tempi moderni: questo grido è lo studio, che egli trae dalla sua esistenza irrimediabile. La dolcezza morbida di Rousseau viene dimenticata. L’infinito moderno è la tensione, il duello, il fallimento, la ferita.

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