Tensione altissima in Tunisia dopo l’uccisione del leader laico

by Sergio Segio | 26 Luglio 2013 6:37

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«Ennahda dimettiti (il partito islamico al governo n.d.r. )», «Ghannouchi assassino (Il leader di Ennhada n.d.r .)». È grande la rabbia della Tunisia laica scesa in piazza per protestare contro l’uccisione di uno dei leader dell’opposizione. Mohamed Brahmi, ex segretario generale del movimento El-Chaab (Il Popolo) e coordinatore generale del nuovo partito Corrente Popolare, è morto ieri assassinato a sangue freddo come successe neanche sei mesi fa a Chokri Belaid, noto leader dei movimenti della sinistra laica. Identica la dinamica, identica la città, Tunisi, identiche le accuse lanciate dai parenti delle due vittime: «È stato Ennahda, sono loro che l’hanno ucciso» ha detto ieri la sorella del politico. La famiglia ha anche ufficialmente respinto le condoglianze del governo tunisino.

Brahmi, 58 anni, era appena uscito di casa e stava salendo sulla sua auto quando è stato crivellato dai proiettili. I killer, due secondo le prime testimonianze, lo stavano aspettando su un motorino e poi si sono dileguati. Ieri la Tunisia celebrava il 56simo anniversario della Repubblica e l’opposizione aveva invitato i cittadini a scendere in piazza per contrastare il progetto di società retrograda che, secondo loro, il partito islamico sta cercando di imporre. Ma l’assassinio ha infiammato gli animi. Migliaia di persone si sono radunate davanti al ministero dell’Interno chiedendo le dimissioni del governo islamista. A febbraio, dopo la morte di Belaid, il premier Jebali fu costretto a lasciare il suo posto. Ieri a Meknassi i manifestanti hanno dato alle fiamme la sede di Ennhada e a Sfax la polizia ha usato i lacrimogeni per disperdere i cortei di protesta. «Questo giorno significa la morte del processo democratico in Tunisia», ha detto Nejib Chebbi del Partito repubblicano, figura storica dell’opposizione.

Oggi non si sa cosa potrà succedere. L’Assemblea nazionale ha proclamato una giornata di lutto nazionale, l’Ugtt il sindacato più importante ha annunciato uno sciopero generale e la Tunisair ha cancellato tutti i voli da e per la Tunisia. Di certo il Paese sta attraversando una fase di difficile transizione dopo aver acceso la scintilla delle rivolte arabe il 17 dicembre del 2010, quando il giovane Mohammed Bouazizi si dette fuoco di fronte al municipio di Sidi Bouzid. In soli due mesi i tunisini misero fine al regime corrotto e poliziesco di Ben Ali e iniziarono il percorso verso la democrazia. Ma dopo la vittoria di Ennahda alle elezioni, lo scorso ottobre, il progetto di testo costituzionale si è riempito di articoli molto contestabili, come quello, poi ritirato sull’onda delle proteste, in cui la donna era «considerata complementare all’uomo» e ha preso forza l’ala più radicale del movimento islamico, quella dei gruppi salafiti che diventano ogni giorno più minacciosi.

Il segretario del partito islamista, Rached Gannouchi, ha affermato che l’assassinio punta a «fermare il processo democratico della Tunisia e uccidere il solo modello di successo della regione, specialmente dopo le violenze in Egitto, Siria e Libia». Ma l’opposizione accusa il partito islamico di non aver fatto piena luce sul primo assassinio dell’anno, quello di Belaid. Il principale sospettato, infatti, non è stato ancora arrestato e nulla si sa dei mandanti. Ad aumentare lo scontento c’è anche la mancanza di una stabilità economica e sociale.

Preoccupazione per la situazione è stata espressa dagli Usa e dall’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Navi Pillay, che hanno chiesto «un’indagine rapida e trasparente». E il presidente francese, François Hollande, ha invitato «tutte le forze politiche e sociali in Tunisia a garantire la continuazione della transizione democratica». La rivoluzione dei gelsomini, dice l’opposizione, non può morire così.

Monica Ricci Sargentini

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