Silenzio e tregua con il partito La via di Renzi verso la segreteria

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ROMA — Ci aveva pensato. Anche a lungo, sotto il cannoneggiamento amico. Lasciar perdere tutto. Dare ragione a Davide Zoggia, che dice: «Matteo dovrebbe fare il segretario per due anni, visto che il governo durerà fino al 2015, e questo non gli conviene: così si brucia». Poi gli amici, ma soprattutto i sondaggi, gli hanno fatto cambiare idea. Il governo, secondo Swg è al 27 per cento. Il che significa che nel giro di una settimana ha perso sei punti in percentuale. Oltre il 50 per cento dell’elettorato del Partito democratico lo vuole segretario. In popolarità e fiducia stacca Enrico Letta di quasi venti punti ed è comunque sopra Giorgio Napolitano, costantemente, in ogni sondaggio.

Matteo Renzi non parteciperà più al botta e risposta del Pd: «Parlerò direttamente ai nostri elettori, non voglio più partecipare al teatrino che è stato allestito per fregarmi, per darmi del disfattista, attribuirmi tutte le colpe del mondo». E ai suoi, preoccupati e anche un po’ spaesati, il sindaco spiega che «lo schema resta sempre lo stesso». Tradotto in parole povere vuol dire che Renzi si candiderà al congresso, che il suo «silenzio» è propedeutico a questo e non alla resa. Tanto più che i nemici sono usciti allo scoperto, in maniera anche un po’ «sguaiata»: «Letta e i lettiani hanno detto quello che vogliono, hanno spiegato quello che si potrebbe riassumere così in poche parole: Renzi giammai». Ma lui, il Renzi, per l’appunto, ha capito che la sua strada resta sempre quella, una sola. E non è fare la guerra a Letta. Comunque non ora che il premier ha confessato di essere rimasto «impietrito» di fronte a certe dichiarazioni del suo partito. Non ora che Enrico Letta pensa a un rimpasto per alleggerire il clima, il governo e la situazione. Lo ha promesso a Epifani, questo cambio dei ministri. Lo ha promesso per spuntare le armi di Renzi. Carrozza e Zanonato sono in «pole position»: toccherà a loro se rimpasto sarà, l’addio all’esecutivo.

Il pezzo grosso è Alfano. Il Pdl, però, non vuole mollarlo e resterà questo tallone d’Achille. I renziani ne sono convinti e aspettano il gruppo dirigente al varco: faranno finta di niente o insisteranno per le dimissioni del segretario del partito di Silvio Berlusconi? I Democrat si interrogano e si macerano, perché vedono sfuggire via i consensi: i sondaggi, implacabili, li fanno scendere di quasi un punto. È in questo clima che Renzi rimodula la propria strategia. Ma non molla la presa. «È vero, la segreteria può logorare, ma come posso esimermi? Non voglio un Pd balcanizzato, o guidato da qualcuno che lo fa arrivare al 15 per cento. E non lo dico per me, ma per tutti quegli elettori che non vogliono un partito fermo al palo». Lui, comunque, al palo non ci sta, non per assecondare «un voto alla Ruby» sul caso kazako, non per raccontare «una storia in cui il difficile è decidere se sia troppo bugiardo o troppo c…».

A largo del Nazareno i suoi nemici stappano metaforicamente una magnum di champagne, inneggiando al Renzi isolato. Qualcuno si spinge oltre e cancella il Congresso dall’orizzonte del partito. Dice Nico Stumpo: «Non è necessario tenere le assise nazionali». E Beppe Fioroni aggiunge: «Un rinvio potrebbe essere auspicabile, per evitare che il Pd si spacchi sul tema del governo. Le assise potrebbero fare un danno». Tema di difficile declinazione nel Partito democratico, tanto più dopo che Enrico Letta ha fatto sapere come la pensa, tramite Dario Franceschini: «Non si può pensare di fare un congresso immaginando che il tema debba essere quello del “governo sì e governo no”». Una linea, questa, che vede compattarsi tutti i tifosi del premier, i falchi come le colombe. Già, perché ora nel Pd sono sul banco degli accusati i tifosi di Letta, sebbene il giorno prima fossero nella stessa identica posizione i fedelissimi del sindaco di Firenze: «Fanno più danno al premier i lettiani improvvisati dei fedelissimi incalliti», osserva il neo deputato renziano Davide Faraone: «Il Partito democratico si rafforzerà con Renzi segretario, viceversa un Pd debole potrà anche salvare il sedere a qualcuno, ma ucciderà tutti». Previsione ottimistica secondo Roberto Giachetti, vice presidente della Camera renziano: «La verità è che hanno già ucciso il corpo di questo partito». Un sospetto che ormai nutrono persino i bersaniani, notoriamente acerrimi nemici di Renzi, un sospetto a cui dà voce l’ex segretario: «Enrico non può scaricare il peso del governo sul Pd».

Maria Teresa Meli


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