Sempre meno dipendenti pubblici cancellati cento posti al giorno

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ROMA — Cento in meno al giorno, dal 2001 al 2011. Una vera e propria emorragia di dipendenti pubblici quella evidenziata dal-l’Istat nel nono Censimento su Industria e servizi, Istituzioni pubbliche e No Profit. In dieci anni gli addetti della Pa, se si escludono i militari e gli appartenenti alle forze dell’ordine, sono scesi dai 3 milioni e 209 mila unità del 2001 ai due milioni e 840mila calcolati nel 2011. Il calo stimato è dunque pari a 368 mila persone, un taglio secco dell’11,5%.
Più di una persona su dieci, quindi, ha lasciato gli uffici della pubblica amministrazione nel corso di questi dieci anni. La cura dimagrante ha alleggerito soprattutto il personale in servizio presso i Comuni, dove la discesa è stata del 10,6% contro un calo dell’8,6% delle Regioni.
I tagli sono stati profondi anche in quelle che l’Istat definisce le Altre istituzioni pubbliche che includono Camere di commercio, ordini e collegi professionali, università ed enti di ricerca dove sono stati persi un quarto dei posti (-25%). Significativa (meno 14%) anche la contrazione del numero di addetti negli Organi costituzionali, a rilevanza costituzionale e nelle amministrazioni dello Stato come ministeri, agenzie dello Stato, presidenza del Consiglio. Oltre al personale mostrano una riduzione importante pure le singole istituzioni che a fine 2011 erano 12.183, ovvero il 21,8% in meno rispetto alla rilevazione del 2001. Questa contrazione è dovuta ad una serie di interventi normativi e di processi di razionalizzazione che hanno portato negli anni alla trasformazione di enti da diritto pubblico a diritto privato e all’accorpamento tra istituzioni diverse.
Ma non tutti gli Enti locali hanno limato le spese per il personale: anzi, più che di dieta si deve parlare di bulimia visto che in alcuni casi i dipendenti sono aumentati in maniera esponenziale. Come nelle Province (passate da 102 a 109), dove va registrato un incremento dell’11,3% del personale, così come nelle Comunità montane e isolane e nelle Unioni di Comuni gli assunti, dove sono lievitati del 43%. Ci sono poi i casi della Valle D’Aosta, della
Sicilia e della Provincia autonoma di Trento dove è cresciuto il numero degli addetti in rapporto alla popolazione.
C’è poi un mondo quello del no profit, che invece si espande e crea valore per il Paese. E lo fa soprattutto al Nord e al Centro con picchi di presenza e di attività in Lombardia, Veneto, Piemonte, Emilia Romagna, Toscana e Lazio. Un settore che può contare sul contributo lavorativo di quasi 5 milioni di volontari, sul lavoro quotidiano di 681mila dipendenti, di 270mila lavoratori esterni e di 5mila lavoratori temporanei. Nel tessuto produttivo il no profit occupa ormai una posizione rilevante e pari al 6,4% di tutte le unità economiche attive sul territorio nazionale. Il settore della cultura e dello sport assorbe da solo circa il 65% del totale delle istituzioni no profit, seguito dall’assistenza sociale con 25mila istituzioni, delle relazioni sindacali e di rappresentanza (16mila), dell’istruzione e ricerca (15mila). Il peso della componente no profit nell’assistenza sociale è significativo anche in termini di occupazione. Quasi la metà dei dipendenti impiegati in questo comparto è concentrata in Lombardia, Lazio ed Emilia Romagna.


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