SE ANCORA RESISTE IL CULTO DELLA RAZZA

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Il termine «razza», se usato per gli umani, è improprio. Ha un significato se riferito agli animali, così diversi tra loro; ma applicato all’uomo rappresenta un errore, sia sul piano ontologico che su quelli genetico e biologico. I cani possono essere di razze diverse. Non così gli umani. Perciò, ignorarlo vuol dire trattare l’uomo come un animale. Proprio questo è accaduto nel caso delle aggressioni contro la ministra dell’integrazione Cécile Kyenge. Ciò che definisce un essere umano sono i suoi geni, il suo Dna, non il colore della sua pelle. Nessun comportamento psicologico o politico può essere ascritto a un dato esteriore, o in altri termini, all’aspetto fisico di una persona. A definirci sono le nostre qualità, le nostre capacità, la nostra volontà, la nostra fedeltà o infedeltà ai valori fondamentali che sono alla base di ogni civiltà. Che importa il colore della pelle? Che ruolo può mai avere nel mio giudizio, nella mia percezione della realtà?
Razzista è chi crede che nel genere umano esistano diverse razze: ma ciò è scientificamente falso. Apparteniamo tutti a una sola ed unica razza: la razza umana, che comprende i sette miliardi di abitanti del nostro pianeta.
Di fatto, le dichiarazioni di taluni leader della Lega Nord, come ed esempio quelle del deputato europeo Mario Borghezio, sono soltanto insulti che rivelano sentimenti di odio e disprezzo verso chiunque, uomo o donna, non faccia parte del suo schieramento politico. In Francia abbiamo sentito profferire ingiurie razziste di questo tipo da esponenti dell’estrema destra, poi condannati dalla giustizia. Ma nel caso italiano, da alcuni anni vediamo emergere un’ideologia tendente a diffondere pregiudizi sugli immigrati la cui pelle non è di un bianco smagliante. Si ricade così in una vecchia abitudine: quella di confondere il buono col bello, e di assimilare il bianco a tutto ciò che è giusto – mentre per converso il non bianco è identificato col male.
Alcuni decenni fa, quando nel Sudafrica regnava ancora il regime dell’apartheid, un individuo (di pelle bianca) giustificò la discriminazione nei confronti dei neri dicendo: «A noi non piacciono perché hanno lo stesso colore dei nostri escrementi».
Questo riferimento a ciò che viene espulso è inconsciamente presente nella mentalità e negli atteggiamenti del razzista «di base».
Come sappiamo, insulti razzisti sono risuonati anche negli stadi, contro i calciatori di colore; e qualcuno ha imitato i versi delle scimmie. Il signor Borghezio ha parlato di «bonga bonga». Ma prima di lui, un presidente del consiglio aveva descritto Barack Obama come un uomo «abbronzato».
Ultimamente lo Stato francese ha trovato infine il coraggio di radiare dalla sua Costituzione la parola «razza». Certo, non basta questo a cancellare il razzismo; ma è già un passo in avanti, per tagliare l’erba sotto i piedi dei razzisti.
La stupidità del razzismo si combatte con l’educazione e l’istruzione, smantellando i pregiudizi. Una volta affermato e dimostrato che le razze non esistono, diventa più difficile trovare una pseudo-giustificazione alle discriminazioni basate sul colore della pelle. D’ora in poi i razzisti dovranno cercare altrove di che alimentare la loro stupidità e il loro squallore. Perché non rispettando gli altri, il razzista manca di rispetto a se stesso. È un disgraziato, a disagio nella sua pelle, e quindi bisognoso di rassicurazioni. In tempi di crisi, per forza di cose il razzismo diventa più virulento.
Traduzione di Elisabetta Horvat


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