SAVERIO TUTINO, I QUADERNI DELLA VITA

by Sergio Segio | 4 Luglio 2013 7:14

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Un quaderno ogni anno, per ventotto anni. Dal 1983 fino alla morte, nel novembre del 2011. Il primo gennaio la moglie Gloria Argelés gliene regalava uno vuoto e il 31 dicembre successivo Saverio Tutino glielo restituiva pieno della sua scrittura minuta, fitta fitta, che saturava anche i margini. Tutino compilava per sé un diario privato, un resoconto quotidiano di riflessioni sulla politica estera, sul terrorismo, su esperienze di vita piccole e grandi e sulla nuova avventura che aveva intrapreso proprio in quegli anni. Tutino, infatti, uno dei principi del giornalismo vissuto sempre da inviato, partigiano garibaldino, autore di tanti libri — scrisse sul Politecnico di Elio Vittorini, su Vie Nuove, quindi corrispondente a Parigi, in Cina e a Cuba per l’Unità e poi a
Repubblica dal primo numero, nel gennaio 1976, fino al 1985 — aveva avviato proprio nel 1984 la fondazione dell’Archivio diaristico nazionale a Pieve Santo Stefano.
Domenica 7 luglio Tutino avrebbe compiuto novant’anni. E per quasi un terzo della sua vita, l’ultimo terzo, si è dedicato a raccogliere diari, memorie ed epistolari. L’Archivio di Pieve è il poderoso repertorio (a tutt’oggi oltre seimilaquattrocento testi) di una storia d’Italia fatta di mille rivoli privati e scritta da gente comune — ogni anno un diario viene premiato e indirizzato alla pubblicazione. I ventotto quaderni sono però il suo diario (qui ne pubblichiamo alcuni stralci, grazie alla cortesia di Gloria Argelés).
In realtà Tutino ha scritto diari per tutta la vita, spiega Anna Iuso nel numero monografico a lui dedicato della rivista Primapersona, edita dall’Archivio. Lo facevano suo padre, che raccontò gli avvenimenti fra il ‘43 e il ‘45, sua madre crocerossina, suo fratello. L’avrebbe fatto la figlia Barbara. Quelli che Saverio compose durante i soggiorni in Cina e a Cuba sono depositati nell’Archivio. Il racconto contenuto in questi ventotto quaderni custoditi dalla moglie sembra invece contenere e rendere decifrabile una massa straordinaria di pensieri, che poi in parte egli riversa negli articoli o nei libri, ma che in quei piccoli volumi dalla copertina rigida e a volte rilegata si depositano come in un filtro. Pubblico e privato si mescolano, si contagiano. Si ascolta l’eco di una vita spesa nei giornali a raccontare gli altri, le speranze, i conflitti, le sofferenze, le rivoluzioni (di quella cubana rimase prima affascinato, poi atrocemente deluso). «Perché proprio io mi sono occupato di diari?», si domanda in un appunto del 1987 citato da Anna Iuso. «Forse perché come “rivoluzionaro” mi ero dedicato troppo allo strumento e troppo poco all’oggetto della rivoluzione sognata. Troppo al partito, poco all’uomo».

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“Quella volta che Thomas Mann    

SAVERIO TUTINO


25 APRILE 1985 Quarant’anni fa non ho avuto l’età per capire; il diario di mio padre l’ho letto solo adesso. L’archivio dei diari che ho organizzato a Pieve dovrà servire a ristabilire comunicazioni perdute dei protagonisti. Bisognerà mandare un attestato a ognuno di quelli che ci ha affidato il suo diario («Il Comune di Pieve ha ricevuto dal signor xy un diario di guerra 1943-1945 e lo custodirà nel suo archivio come contributo alla conoscenza della storia degli italiani »).
Sulla Repubblica, oggi, un ottimo articolo di Enzo Forcella: siamo un’Italia diversa da quella che “il vento del nord” sperava di promuovere e suscitare. Ma quella vicenda della Resistenza, primo atto di una maturità civile in questo paese, è stata limitata alla sua parte settentrionale e il resto, dal Lazio in giù, ha fatto in tempo a dare un volto molto diverso alla transizione verso la democrazia. Un volto che oggi prevale – spesso oscuramente qualunquista, comunque intrallazzatore se non mafioso – contro gli sforzi di chi vorrebbe tenere in alto il clima psicologico, il valore diffuso di partecipazione civile che ebbe la Resistenza. Se penso all’articolo di Massimo Fini, un anno fa, forse due, su Linus, in cui sosteneva che (la Resistenza, ndr) era stato un fenomeno di pochi, sparuti gruppi sparsi per le montagne, mi viene un brivido di freddo; ma forse voleva dire che non abbiamo ancora spiegato quanto e come quel movimento fosse più politico che militare. Solo questa lettura permette di coglierne tutta la vastità, e quindi il valore vero, da Roma in su. Quanto alla tesi di Forcella, l’unica osservazione che farei è che la separazione nord-sud non comincia con la Resistenza, ma è la storia stessa – tutta la storia – del nostro paese.
1 maggio 1985 Il diario come espressione del dolore degli uomini e del bisogno di comunicarlo. O anche come espressione di una felicità. Ma sempre di un bisogno di comunicazione. Il Premio Pieve e l’archivio da cui nasce ha sorpreso per il numero delle adesioni. A me non ha recato nessuna sorpresa perché forse ero più attento alla circolazione nascosta di un bisogno diffuso di fare partecipe il prossimo della propria “esistenzialità”, senza il ricorso all’arte che è letteratura vera. Una forma dunque di letteratura primaria o spontanea che permette di registrare ciò che molti “sentono” di fronte alla vita, senza bisogno di intermediari (registratori, interviste, sociologi). Senza neanche bisogno di oroscopi, segni astrologici, riflessi magici di una maniera per entrare in contatto con il proprio ruolo vitale.
15 aprile 1986 Fino all’ultimo (e ne è testimonianza questo diario, dedito a tutt’altre occupazioni) non avevo creduto che Reagan sarebbe arrivato a ordinare il bombardamento di Tripoli. Eppure la mia stessa ipotesi che il terrorismo libico e palestinese (fronte del rifiuto) sia essenzialmente rivolto a destabilizzare il processo di pace Usa-Urss, con l’appoggio dei trafficanti illegali di armi e di droga, avrebbe dovuto farmi sospettare che da un momento all’altro si sarebbe passati alla rappresaglia del più prepotente. Fra Gheddafi e Reagan non saprei chi ha la faccia da preferire. Parlo di Faccia politica. Però a questo punto, scelgo Wojtyla, il quale sta scoprendo la virtù del futuro, che sarà quella di smussare i settarismi, abbattere i confini che separano religione da religione, dando l’esempio ai politici che dovrebbero abbattere quelli che separano nazione da nazione e che servono ai mercanti d’armi come pretesto per giustificare i loro guadagni crescenti.
17 maggio 1986 Un giorno a Pieve, due pranzi al Sari e passeggiate lungo le rive del Tevere che qui fa una pozza dove d’estate, se c’è acqua, ci si può bagnare. Non ho potuto parlare con Gloria, mi dicono da B.Aires che il telefono è guasto. Poi, tornando ad Anghiari, per la strada che passa sopra la diga di Monte Doglio, ho investito un capriolo sbucato improvvisamente dal bosco. La bestiola si è rialzata ed è andata zoppicando, stavolta, a buttarsi di nuovo nella macchia. Ha lasciato un filo di bava sulla fiancata dell’auto. Mi sono avvicinato cautamente per vedere se potevo soccorrerla, ma l’ho sentita di nuovo agitarsi tra i cespugli. Non potevo che aggravare il suo orgasmo di bestia ferita. Sono andato via. Ho passato la sera da Marisa ed Emanuele: anche loro pensano che le probabilità di una catastrofe sono ormai più del 50 per cento. Io spero in una grande svolta politica favorita dalla crisi negli Usa, che vivono nell’indebitamento.
28 maggio 1986 Ma quello che stiamo scoprendo, sull’insidia catastrofica del nucleare, rende vago ogni compiacimento (un mese prima si era verificato il disastro di Chernobyl, ndr).
L’amore stesso (e Gloria e io ne sappiamo qualcosa) deve soggiacere a questo filtro lugubre di previsioni letali. Ricordo quando Thomas Mann mi disse, per Vie Nuove, che era fuggito dal “tecnicismo barbarico” del futuro che già cominciava negli Usa. Ora leggo di Heidegger che prima di morire parlava della tragica involuzione dell’umanità sotto il dominio della tecnica. Einstein avvertì l’avvento di un’era di catastrofi. E ora anche Benetazzo (Piero Benetazzo, inviato di Repubblica, ndr), retour d’Amérique, parla del movimento ambientalista che cresce. E in tutto questo la Francia, dominata da una lobby militare gradita agli elettori, mantiene il segreto sulle fughe di radioattività dalle sue centrali che dovevano restituire al paese del “re sole” la grandeur andata in vuote parole, prive di senso.
4 marzo 1987 Oggi ho scritto l’articolo mensile per Linus che uscirà ai primi di aprile. Ho scritto sul Cile e la visita del Papa, che cadrà in quei giorni. Ho azzardato la speranza in un miracolo: che possa – quella visita – nuocere e destabilizzare, anziché favorire i progetti di Pinochet. Sono andato a dormire con la coscienza di avere, se non altro, lavorato.
29 settembre 2000 Barbara è felice perché tutti le mostrano stima e gratitudine. Elisabetta si proclama superfortunata e soddisfatta perché ha trovato casa proprio dove voleva. Tutte e due le mie figlie partono nel 2000 col piede giusto dopo aver fatto le scelte lavorative giuste e aver lavorato bene per realizzarle.

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