Rimozione e pacificazione

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 Siamo chiari: la tesi che il governo delle larghe intese avrebbe inaugurato un nuovo tempo politico, quello, appunto, della cosiddetta pacificazione, che coincideva, tra le altre cose, con la riabilitazione di Berlusconi come statista ponderato, si fondava su quello che in termini strettamente psicoanalitici si chiama “rimozione della realtà”.
Ovvero l’esatto contrario di quel “principio di realtà” che era apparso carico di promesse sincere nel discorso inaugurale del presidente Letta alla Camera dei deputati. Di cosa si tratta quando in psicoanalisi parliamo di “rimozione della realtà”? Accade esemplarmente nella psicosi. Prendiamo una storia clinica narrata da Freud: una madre colpita dalla tragedia della perdita prematura di una figlia la sostituisce con un pezzo di legno che avvolge in una coperta che tiene amorevolmente in braccio sussurrandogli tutte quelle parole dolci e affettuose che la figlia morta non potrà più sentire. Questa sostituzione implica la negazione delirante di una realtà troppo dolorosa per essere riconosciuta come tale. Il pezzo di legno cerca di supplire pietosamente al buco scavato dalla realtà dal trauma della morte prematura della bambina. Quella figlia così teneramente amata non esiste più, se n’è andata, è morta.
L’idea della pacificazione non assomiglia forse a questa sostituzione delirante? Essa non può aspirare ad alcuna dignità politica, non può essere la base di un nuovo patto politico, perché si fonda su una negazione delirante della realtà. Di quale realtà? La realtà della morte in Italia di una destra autenticamente liberale, capace di fare gli interessi generali del Paese anziché essere uno strumento al servizio di un uomo che avendo notevoli problemi con la giustizia da un ventennio utilizza la politica per difendere strenuamente i propri interessi personali. Nell’esempio raccontato da Freud il delirio consiste nel rifiuto della realtà e nella sostituzione della realtà con qualcosa che non esiste. L’idea della pacificazione si fondava su un vero e proprio accecamento di questo genere: la figura di Berlusconi statista appare a tutti gli uomini ragionevoli, di destra come di sinistra, una affermazione delirante, cioè completamente scissa dalla realtà. All’indomani delle elezioni la sua forza rappresentativa si era oggettivamente assai ridotta e non si era esaurita irreversibilmente solo grazie alla scelta scellerata del Pd di non candidare Matteo Renzi. Eppure questo governo si è realizzato ancora alla sua ombra ed è ostaggio del suo capriccio.
L’idea della pacificazione vuole sostituire la dimensione politica del conflitto con la negazione delirante della realtà. La realtà è che in Italia destra e sinistra non possono governare insieme non perché, come ritiene un’altra forma di rimozione della realtà qual è il catarismo grillino, sono uguali ma perché sono profondamente diverse. Se su queste pagine ho frequentemente ricordato come il ruolo nobile e alto della politica consista nella sua capacità di comporre dialetticamente le diverse istanze di cui è fatta la vita dellapolis, mi pare altrettanto fondamentale oggi ricordare che in una democrazia non bisogna avere paura del conflitto perché il conflitto politico è il sale della democrazia. Soprattutto se la negazione del conflitto comporta l’idea di una falsa unità, di una convergenza solo apparente tra le opposizioni. Tra l’altro è proprio la possibilità che il conflitto politico trovi delle adeguate rappresentazioni democratiche e parlamentari ad essere la prevenzione più efficace ad ogni forma di violenza irrazionale.
Come la povera madre che anziché affrontare il dolore per la morte della propria figliola, la rimpiazza con un pezzo di legno, il governo Letta sembra insistere nel credere – sfidando davvero ogni principio di realtà – che sia possibile governare con una destra pronta ad occupare le sedi dei Tribunali e a far cadere il governo se il suo capo non verrà messo al riparo dall’azione della giustizia.
In psicoanalisi esiste una legge del funzionamento mentale che vale la pena oggi ricordare perché si presta a leggere anche i fenomeni della vita collettiva: quello che si vuole cancellare dalla memoria – nel nostro caso il ventennio berlusconiano – ritorna sempre nella realtà e ha spesso la forma dell’incubo. Per generare cambiamento autentico, nella vita individuale come in quella collettiva, è necessaria innanzitutto la memoria della nostra provenienza. Non è un caso che tutti i tiranni tendano a cancellare il rapporto con la memoria e a falsificare i libri di storia. In 1984 il Grande Fratello orwelliano rende come prima cosa impossibile il pensiero storico perché sa che quel pensiero è sempre pensiero critico, pensiero che sa fare obiezione alla falsificazione. Come accade alla povera madre delirante raccontata da Freud si vorrebbe trasformare la bimba morta e perduta per sempre in una bimba viva e sorridente. Ma un pezzo di legno non fa una bambina, così come Berlusconi non fa uno statista. La pacificazione rischia allora di essere una pura falsificazione. È questo, in fondo, il suo peccato originale.


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