Riina: fu lo Stato a venire da me per trattare

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PALERMO — «Io non ho cercato a nessuno, erano loro che cercavano me». Il boss Totò Riina torna a lanciare messaggi sibillini. Questa volta, sulla trattativa Statomafia. E sono messaggi clamorosi, perché finiscono per confermare le dichiarazioni del supertestimone della procura, Massimo Ciancimino. Dice Riina: «A me mi hanno fatto arrestare Bernardo Provenzano e Vito Ciancimino, e non come dicono i carabinieri». Il boss ha parlato per ben due volte con gli agenti della polizia penitenziaria: il 21 maggio, nella sua cella del carcere milanese di Opera, mentre stava prendendo alcune medicine; poi, il 31 maggio, durante il trasferimento nella sala delle videoconferenze, per assistere a un’udienza del caso trattativa. Adesso, queste parole sono finite agli atti del processo di Palermo, perché secondo i pm Di Matteo, Del Bene e Tartaglia costituiscono la conferma che un dialogo fra Stato e mafia ci fu per davvero durante le stragi del ‘92’93.
Riina tiene però a precisare: «Del papello non so niente, mai visto». E poi torna a cavalcare un suo vecchio cavallo di battaglia: «I servizi segreti». Li chiama in causa per la strage di Capaci: «Io sono stato condannato, ma a me voi mi vedete confezionare la bomba di Falcone? Brusca non ha fatto tutto da solo — dice il capomafia agli agenti — c’è la mano dei servizi segreti. La stessa cosa vale per l’agenda rossa», aggiunge. «Avete visto cosa hanno fatto? Perché non vanno da quello che aveva in mano la borsa e si fanno consegnare l’agenda? In via d’Amelio c’erano i servizi — ribadisce Riina — si trovavano a Castello Utveggio e dopo cinque minuti dall’attentato sono scomparsi, ma subito si sono andati a prendere la borsa». Dei servizi segreti in via d’Amelio e del castello che sovrasta Palermo Riina aveva già detto tre anni fa ai magistrati di Caltanissetta. Adesso, il boss cita per la prima volta l’agenda di Borsellino e il carabiniere fotografato mentre cammina con la borsa del magistrato, sul luogo della strage: si tratta del capitano Giovanni Arcangioli, indagato e poi prosciolto per il furto dell’agenda.
È un Riina show quello raccontato nelle cinque pagine della relazione stilata da due agenti della penitenziaria. «Sono stato 25 anni latitante in campagna senza che nessuno mi cercasse», dice il capomafia: «Com’è possibile che sono responsabile di tutte queste cose?». E si lancia in un’appassionata autodifesa: «Appuntato, lei mi vede che possa baciare Andreotti? Le posso dire che era un galantuomo e che io sono stato dell’area andreottiana da sempre ». Non finisce qui. «Appuntato, ha visto? Sono ancora un orologio svizzero, anche se mi sono fatto vecchio». È il Riina di sempre che parla, come nella sua prima uscita pubblica, nel 1994 (un anno dopo l’arresto), al palazzo di giustizia di Reggio Calabria: quella volta, attaccò «i giudici comunisti ». Ora dice: «La vera mafia sono i magistrati e i politici che si sono coperti tra di loro. E scaricano ogni responsabilità sui mafiosi». Il boss tiene a precisare: «La mafia, quando inizia una cosa, la porta a termine, assumendosi tutte le responsabilità». Aggiunge: «Io sto bene. Mi sento carico e riesco a vedere oltre queste mura ».
Un ultimo riferimento è per Provenzano, il compagno di cinquant’anni di delitti: Riina l’ha sempre difeso, replicando a chi avanzava il sospetto di un suo coinvolgimento nell’accordo Ciancimino-Ros. Eppure, nel 2003, lo stesso Riina aveva detto a Firenze, al processo per il falitto attentato allo stadio Olimpico: «Qualcuno ha trattato con lo Stato la mia cattura?». Oggi, accusa senza mezzi termini Provenzano. E dice: «Io glielo dicevo sempre a Binnu di non mettersi con Ciancimino».
Al momento, i pm non sembrano avere alcuna intenzione di interrogare Riina. Anche perché lui ha ribadito agli agenti: «Con i magistrati non ci parlo, e non voglio avere niente a che fare con loro». Sono stati invece ascoltati i due poliziotti che hanno stilato la relazione di servizio. A Palermo, è arrivata anche una nota del direttore di Opera, Giacinto Siciliano. Dice: «Le ripetute e ravvicinate affermazioni di Riina appaiono anomale rispetto a un atteggiamento che da sempre l’ha contraddistinto, di riservatezza nell’approccio con gli operatori tutti ». Il direttore non esclude alcuna ipotesi: «Detta loquacità potrebbe avere un preciso significato quanto essere riconducibile a un deterioramento cognitivo legato all’età». Ma gli agenti scrivono: «Quel giorno Riina era assolutamente lucido, cosciente, padrone di sé e ha scandito quelle frasi perché noi le sentissimo chiaramente ». La mattina del 31 maggio, Riina si sentì male e vomitò nella sala delle videoconferenze.
Per il processo trattativa è un momento importante. Giovedì, la corte d’assise presieduta da Alfredo Montalto deciderà se il caso debba restare a Palermo, o andare a Roma, come chiedono i legali dell’ex ministro dell’Interno Mancino, in questo processo imputato assieme a Totò Riina.


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