Renziani all’attacco Epifani serra i ranghi sul sostegno al governo

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ROMA — La speranza è che l’incontro di stasera coi parlamentari del Pd possa trasmettere serenità alla Direzione del partito. E infatti, nei primi appunti del discorso che terrà venerdì di fronte al parlamentino del suo partito, Enrico Letta ha buttato giù una frase che sa di appello: «Il miglior contributo che posso dare al mio partito è governare bene».

Ma l’atmosfera che il premier vede nel Pd, scandita da quei «rumori di fondo» pre-congressuali di cui ha parlato la settimana scorsa nel suo intervento al Senato, non è delle migliori. Basta ascoltare il renziano Dario Nardella, che della pattuglia di parlamentari democratici è uno dei più vicini al sindaco, mentre passeggia su e giù per il Transatlantico di Montecitorio. «Mi spiegate che cosa ci viene a fare Matteo venerdì a Roma? Per sentire questi signori che continueranno a non darci la data del congresso? Per sentirli sorvolare sulla necessità di cambiare il Porcellum? O per sentirli recitare la storia della “stabilità” dell’esecutivo, una scusa con la quale ormai si giustifica di tutto?».

È evidente, anche se «per il bene del governo» evita di tornarci su, che dietro il «di tutto» di cui parla Nardella c’è anche il «caso Kazakistan» che all’esecutivo di apprensioni ne ha create non poche. E comunque, insiste con amarezza l’ex vicesindaco di Firenze, «ormai la gente, a cominciare dai nostri militanti, non ci prende più sul serio, ci ride dietro». E non sarà un caso che, nel blocco che fiancheggia Renzi, il vicepresidente del Parlamento europeo Gianni Pittella sia arrivato addirittura a minacciare «l’occupazione della sede del partito, se non ci danno la data del congresso». Una data che adesso anche Gianni Cuperlo, altro iscritto alla competizione, potrebbe chiedere sottoscrivendo gli ordini del giorno che verranno presentati in Direzione in questo senso.

La ribellione dei renziani nasce dalla certezza che, comunque sia, l’assemblea nazionale del partito che cambierà lo statuto si terrà a settembre. E che i lavori della commissione congresso chiamata a riscrivere le regole si sono paralizzati proprio sulla linea del traguardo.

Ma visto che è la tenuta del governo «il» tema, ecco che tra i lettiani di stretta osservanza c’è chi comincia a ventilare l’ipotesi che Letta sbatta i pugni sul tavolo. «Chi conosce Enrico sa che, pronunciato da lui, un discorso come quello del Senato era già durissimo», spiegava l’altro giorno in Transatlantico il deputato lettiano Marco Meloni. Uno di quelli che non si fida troppo della soluzione escogitata due settimane fa dall’amico Francesco Boccia, e cioè quella di presentare una mozione congressuale di sostegno al governo Letta e di farla firmare a tutti, Renzi compreso. «Renzi può anche firmare che ti viene a portare la colazione a casa», è la versione che Meloni ha affidato ad alcuni colleghi della Camera. «Dopodiché, se vuole, ti azzanna lo stesso…».

E non è finita. Un Letta «versione falco» è quello che chiede anche Pier Luigi Bersani. «Enrico», è ciò che l’ex segretario dirà in Direzione, «adesso deve prendere una posizione netta. Perché non è possibile che alcuni paghino il prezzo di sostenere il governo mentre altri che chiedevano a me di fare le larghe intese con Berlusconi», e il riferimento è a Renzi, «adesso fanno campagna elettorale alle spalle nostre e sue».

Rimane da capire se Renzi farà il coup de théâtre presentandosi venerdì al Nazareno. O se rimarrà a Firenze, sfruttando l’assist del prolungamento dei lavori del Comune sull’approvazione del Bilancio. Di certo c’è che Epifani preparerà una relazione in cui, nonostante l’insistenza sulle «ombre nell’esecutivo»(leggasi, Alfano), si chiederà al partito una «piena fiducia» a Letta. E che su quella si voterà. A scrutinio palese, ovviamente.


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