by Sergio Segio | 25 Luglio 2013 8:12
«Vogliamo offrire al pontefice opzioni diverse dalla chiusura dell’Istituto per le opere di religione», si fa sapere. E si costruiscono ponti alla magistratura italiana, assicurando che i vertici sono «non a disposizione ma pronti» di fronte a qualunque richiesta di chiarimento. Il problema di Von Freyberg è che dovrà convincere il Pontefice. Negli ultimi anni la «non banca» vaticana ha oscurato qualunque progetto di riforma, forse contribuendo perfino alle dimissioni di papa Josef Ratzinger. E adesso minaccia di proiettare un’ombra opaca sulla rivoluzione delle finanze della Santa Sede e della Curia chiesta dal Conclave a Jorge Maria Bergoglio.
Le incognite non sono legate solo ai documenti consegnati alla Procura di Roma da monsignor Nunzio Scarano, dipendente dell’Apsa (Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica) per oltre vent’anni. Su questo, temendo nuove rivelazioni, fra l’inizio e la metà di luglio il vertice dello Ior ha fatto preparare a tempo di record un rapporto dettagliato sui movimenti di soldi del prelato negli ultimi dieci anni. L’interrogativo è se altri «monsignor Scarano», o membri del clero di livello anche superiore, hanno consentito che all’ombra dei loro risparmi ufficiali fossero compiute operazioni illegali. Rimane sullo sfondo, dunque, il tema non solo dei «conti laici», ma di quelli che potrebbero essere stati appaltati da ecclesiastici a loro amici in cerca di copertura. A questo i consulenti di Promontory, l’agenzia finanziaria statunitense che indaga da mesi su ogni singolo conto corrente dell’Istituto, non sono ancora arrivati.
Per Scarano, non essendo ancora alla lettera «s», i collaboratori di Von Freyberg hanno dovuto lasciare indietro il resto del lavoro. I risultati sono stati passati all’Aif, l’autorità alla quale spetta la vigilanza sulle attività finanziarie, e al «promotore di giustizia», l’equivalente vaticano di un procuratore, che indaga internamente. Da quanto si è capito, la quantità di denaro circolata sul conto sarebbe inferiore ai dieci milioni di euro. E la destinazione dei fondi configurerebbe elargizioni dietro le quali non si intravedono grandi strategie ma piuttosto favori ai destinatari più diversi, anche se a volte assai discutibili. Lo Ior non vuole trovarsi spiazzato da eventuali richieste di rogatoria della magistratura italiana. Avere a disposizione un dossier su uno dei clienti a oggi più ingombranti dell’Istituto è un tentativo per dimostrare che il «piano di battaglia», come viene definito, vuole dimostrare che continua la missione «clean and serve», ripulire l’Istituto e servire il Papa.
Si vuole far sapere alla magistratura che, pur tenendo conto di una cornice istituzionale obbligata fra due Stati, la disponibilità a collaborare è piena. Di più: si insiste su una convergenza di obiettivi, perché riuscire a penetrare i segreti finanziari dello Ior a questo punto viene considerato interesse di entrambi. I gestori dello Ior che hanno preceduto il cambio di passo voluto da Benedetto XVI e proseguito con maggior vigore da Francesco, non si ponevano il problema. Per questo oggi tutto appare più complicato. Si tratta di cambiare persone, e insieme una mentalità diffusa e legittimata da decenni di sostanziale impunità; e di sradicare un pregiudizio contro lo Ior che si è ormai sedimentato nell’opinione pubblica non solo italiana ma mondiale: per quanto esagerato e ingiusto possa risultare. Lo sforzo di trasparenza che sta compiendo Von Freyberg appare coraggioso e, sotto un certo aspetto, titanico.
Il primo interlocutore da conquistare alla prospettiva che lo Ior abbia un futuro è, infatti, papa Francesco. L’intenzione è di persuaderlo che non sta difendendo un marchio scaduto, ma una struttura riformabile; e che le perplessità diffuse in alcuni episcopati mondiali per il modo e i tempi con i quali è stato scelto il nuovo presidente sono infondate. A ottobre si riunirà il «V8», come viene chiamato il consiglio degli otto cardinali chiamati a consigliare il pontefice, quasi fosse l’equivalente ecclesiastico del «G8», il gruppo delle otto nazioni ritenute le «grandi» del mondo. Allora, la soluzione dovrebbe essere a portata di mano. Ma dipende da quanto succederà durante l’estate a livello giudiziario. Si dice che Von Freyberg tenda a descriversi come «un orologiaio»: l’uomo chiamato a rimettere a posto i pezzi di un meccanismo che si è inceppato e mostra ormai una patina di ruggine tossica. Ma la domanda, tuttora senza risposta, è se lo Ior segni il tempo del Vaticano come un orologio, o come una bomba a orologeria.
Massimo Franco
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