Ragazze cattive

by Sergio Segio | 11 Luglio 2013 6:59

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RUBANO, delinquono, scippano, aggrediscono, si prostituiscono a scuola per la ricarica di un cellulare, fanno stalking, taglieggiano i compagni di classe, diffamano via Facebook, si organizzano in bande, a volte in gang. Bulle, cattive ragazze, anzi no, ragazze cattive. Ultima, nuova emergenza che racconta l’altra faccia della giovinezza, il cuore nero dell’adolescenza, il rovescio della parità. Chi sono, cosa vogliono, come vivono queste poco più che bambine che camminano sul filo del baratro, rivelano un disagio oscuro e a volte compiono l’irreparabile.
A Napoli, è notizia degli ultimi giorni, nuovi gruppi di baby scippatrici determinate e violente seminano il terrore nelle strade, e contendono ormai il terreno della microcriminalità ai loro coetanei maschi. In tre, sugli scooter truccati, colpiscono e fuggono, incuranti di tutto, se non di quell’attimo da “dure” da postare su Facebook. Tre mesi fa, a Udine, due ragazze quindicenni hanno soffocato a mani nude Mirko Sacher, sessantenne pensionato con cui avevano intrecciato una opaca storia di sesso, denaro e ricatti. Oggi sono accusate di omicidio volontario con un futuro segnato per sempre: la comunità, il carcere minorile, mentre agli altri resta da capire il perché.
Ragazze terribili. C’è un mondo di teenager al femminile dove la violenza è sottotraccia ma cresce, si organizza in micro-bande, e la prima radice è il bullismo, esercizio di sopraffazione diffusa, vera piaga dell’adolescenza. Racconta Rosalia, madre di una sedicenne di un liceo romano: «Mia figlia rubava soldi in casa per fare regali a quelle che comandavano, altrimenti, diceva, le avrebbero fatto del male. Una violenza spaventosa, non credevo che delle ragazzine potessero arrivare a tanto. E i loro genitori, quando ho scoperto tutto, nemmeno volevano credermi…». E se i numeri degli adolescenti denunciati alle procure per i tribunali dei minorenni dimostrano ancora che tra i ragazzini che delinquono l’83 per cento sono maschi e il 17 femmine, basta spostare un po’ l’angolazione, e guardare le cifre del bullismo per capire cosa accade. Perché qui raccogliendo le testimonianze si scopre che la percentuale delle bulle è del 25 per cento (il 75 sono maschi) e la durezza e la ferocia sono identiche, senza distinzione di sesso.

Una «versione paradossale della parità », così la definisce Barbara Mapel-li, docente di Pedagogia di genere all’università Bicocca di Milano. Che ci stupisce perché, suggerisce Mapelli, «siamo ancorati a un’idea retorica di bontà femminile, di presunta non violenza, non è così, e le ragazze di oggi, prive di condizionamenti sociali, la esercitano in pieno». Per sentirsi pari si rifanno ai peggiori modelli maschili, si mimetizzano nei cattivi comportamenti, mercificano il loro corpo, «ma forse ci dovremmo fermare e chiederci perché l’emancipazione ha preso questa brutta strada» suggerisce Mapelli non senza un po’ di amarezza.
Un fenomeno sociale già ben studiato altrove, nel mondo anglosassone ad esempio, dove le bad girls o le girls gang, molte delle quali anche adolescenti madri, sono da tempo un’emergenza. Così centrale che all’ultimo festival di Cannes ben due film (Jeune et Jolie di François Ozon e The bling ring
di Sofia Coppola) con registri diversi raccontano storie (e malefatte) di ragazze cattive. In Italia invece gli studi sono pochi, ma i casi invece molti e ben divisi tra eventi gravi, delittuosi, di ragazze assassine, e il magma crescente di una “violenza di genere” sempre più diffusa e aggressiva. Così se la terribile storia di Udine dell’aprile scorso fa tornare alla mente le “amiche diaboliche” di Castelluccio dei Sauri che nel 1998 uccisero a 17 anni la loro coetanea Nadia Roccia, o le compagne di scuola che nel 2000 assassinarono in Val Chiavenna la suora Maria Laura Minetti perché «guidate dal diavolo», sull’altro fronte ci sono le bad girls.
Più bulle che criminali, caratterizzate da un uso spregiudicato del corpo e della sessualità, svaligiano le case di amici agganciati su Facebook (è accaduto a Roma), si muovono in squadra per picchiare chi si oppone al loro potere (è accaduto a Pesaro, e alla vittima venivano spente le sigarette sulle braccia), taglieggiano e ricattano i compagni di scuola. Organizzano campagne denigratorie su Facebook, dal «sei gay» al «sei grassa», «piaci soltanto agli sfigati», concedono sesso a pagamento nei bagni ai coetanei maschi (succedeva in un liceo di Milano) per correre a spendere quella manciata di euro nel centro commerciale più vicino. O scippano, in micro gang, come ha denunciato nei giorni scorsi la questura di Napoli. Francesca Monaldi, ex vice dirigente della Squadra mobile di Roma, oggi a capo di un commissariato “di frontiera” nel quartiere Primavalle, dice che il bullismo «inizia in famiglia e va combattuto nelle scuole». «Le bulle, o le ragazze che compiono reati veri e propri, hanno una consuetudine alla violenza fisica e verbale, a cui hanno assistito fin da bambine in casa. Sembrano dure, ma spesso sono soltanto disperate. Noi andiamo nelle scuole a presentarci, a farci conoscere, per far sapere alle “vittime”, che spesso non riescono a confidarsi con i genitori, che esistiamo e siamo per loro un approdo».
Per sfregio, per noia, per avidità. Confessa Sonia M., 19 anni, “cattiva ragazza” pentita, alle spalle due denunce per furto e una per aggressione: «Mi sentivo leader, mi sentivo forte, ero incazzata con tutte quelle che avevano qualcosa più di me, guardavo i maschi del mio quartiere, comandavano, volevo essere come loro. Poi è andato tutto
male, sono stata bocciata due volte, so di aver sbagliato, ma adesso sono rimasta sola». Tra i paradossi della parità c’è l’essere diventati uguali nella trasgressione. Una sorta di effetto collaterale, come suggerisce lo psichiatra Gustavo Pietropolli Charmet. «L’intensissima socializzazione che caratterizza fin dall’infanzia i bambini di oggi favorisce l’incontro tra i generi. Un fatto certamente positivo, perché i ruoli si mescolano, c’è una virilizzazione delle femmine e una femminilizzazione dei maschi, ci sono le pari opportunità. Ma il rovescio della medaglia vuol dire essere uguali anche negli eccessi, nei comportamenti a rischio: le teenager si ubriacano come i ragazzi, hanno un accesso precoce e libero alla sessualità, spesso vissuta in modo unicamente genitale,
esibita come trofeo». Viene da sé, allora, che le ragazze abbiano comportamenti antisociali simili ai maschi. «Non sono però le donne del capo – aggiunge Charmet ma protagoniste del loro bullismo, picchiano, si organizzano in gang, ma in più utilizzano come arma anche la seduttività del loro corpo».
Le discoteche del pomeriggio e le sale giochi, il sabato nelle finte piazze dei mall,ma anche lo streap casalingo davanti alla webcam, ad uso e consumo dei coetanei maschi. Sesso reale e sesso virtuale. Nel mondo delle ragazze cattive la baby prostituzione ha luoghi, rituali e un prezzario preciso, a misura di adolescenti. Certo vendersi a 16 anni per un paio di occhiali da sole è qualcosa di incomprensibile se non ti manca nulla, sei figlia unica, accudita ed amata. È successo a Marino e Giovanna P. che sono finiti in un gruppo di autoaiuto
organizzato in Rete da genitori (disperati) di bulle e bulli. «Le avremmo potuto comprare decine di quegli occhiali – raccontano – e quando le abbiamo chiesto perché facesse quelle cose, è rimasta in silenzio, mormorando che voleva dei soldi suoi… L’abbiamo aiutata, ora è in terapia, ma per noi è stato un dolore impossibile da cancellare».
Alle cattive ragazze ha appena dedicato un dettagliato saggio una giovane sociologa, Doriana Togni: Ragazze trasgressive in cerca d’identità
(FrancoAngeli). Un viaggio nel cuore della devianza al femminile, dal crimine al bullismo, passando per l’evoluzione delle girls gang, che da donne del capo si trasformano in bande al femminile, «protagoniste in prima persona dei loro atti criminali». «Essere violente per le ragazze trasgressive è un modo per emergere, per dimostrare la propria forza – dice Doriana Togni – oggi è caduta la diga sociale che teneva le donne un passo indietro, e anche questo è un modo, distorto, di dimostrare la propria femminilità». Un adeguamento ai peggiori modelli maschili, una vera sconfitta insomma nell’accidentato cammino della parità.

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