Quel fronte trasversale contro il governo
È l’onda corta ma violenta di quanto è successo l’altro ieri. La prontezza con la quale la «lobby della crisi» che unisce confusamente renziani, Sel, grillini, dipietristi e Democratici inquieti ha approfittato della sospensione dei lavori parlamentari chiesta dal partito del Cavaliere, sta regalando un paradosso. Si intuisce che un’eventuale condanna di Berlusconi da parte della Cassazione, il 30 luglio, può terremotare anche il Pd; e a valanga minaccia il governo anomalo di Letta. La virulenza del Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo contro il partito di Guglielmo Epifani e l’esecutivo, rivela la speranza di un peggioramento rapido della situazione. E il nervosismo e i conflitti che si riaccendono a sinistra fanno temere che questo calcolo azzardato possa diventare pericolosamente esatto. Il malcontento per l’alleanza anomala con Berlusconi lievita. Il vertice del Pd è costretto a scrivere ai militanti per spiegare che quanto è accaduto mercoledì non è stato un cedimento; che la vulgata grillina è falsa. Ma si trova a fronteggiare un partito diviso e attirato dall’idea di un Berlusconi messo fuori gioco dalle sentenze della magistratura e ineleggibile. Anche su questo la spaccatura è in agguato. Anna Finocchiaro avverte che è difficile dichiarare l’ineleggibilità di Berlusconi. Ma il senatore Felice Casson, capofila dell’ala del Pd contraria anche all’acquisto degli aerei F35, contesta una linea del genere e annuncia un voto «secondo coscienza». A corredo di queste tensioni, si contrappongono lettere di parlamentari pro e contro le «larghe intese», fra recriminazioni e insulti.
E pensare che nelle stesse ore Berlusconi aveva attribuito l’accelerazione subita negli ultimi due mesi dai suoi processi al fatto che «una parte della maggioranza non vuole un governo di pacificazione», salvo poi smentire: assicurava di avere accusato genericamente chi è contrario alla tregua. Ma quanto sta accadendo avvalora la tesi di spezzoni antigovernativi annidati nel Pd e nel Pdl. La fronda contro la maggioranza anomala guidata da Letta è trasversale. E le decisioni più recenti del tribunale di Milano e della Corte di Cassazione tendono a complicare il futuro dell’esecutivo: vengono brandite come bandiere dell’impossibilità di una qualunque tregua promossa e garantita dal capo dello Stato, Giorgio Napolitano. C’è l’antiberlusconismo di una parte del Pd e della sinistra. E ci sono quanti, nel centrodestra, usano i guai giudiziari del Cavaliere con lo stesso obiettivo: sabotare il simulacro di pace rappresentato dalla coalizione di Letta.
Non si capirebbe altrimenti perché ieri Berlusconi, durante il vertice nella sua casa romana, abbia chiesto al partito di smetterla con i conflitti tra «falchi» e «colombe». E perché abbia insistito sull’esigenza di sostenere il governo Letta «per il bene dell’Italia». È un atteggiamento responsabile, nel quale si colgono insieme il timore di soluzioni governative peggiori, e l’attesa per la decisione della Suprema Corte il 30 luglio. Si capirà allora se sia davvero possibile separare il Cavaliere imputato dal suo ruolo di azionista della coalizione. Con parole quasi brutali, il capogruppo al Senato, Renato Schifani, anticipa che se fosse interdetto, «sarebbe molto difficile a un Pdl acefalo proseguire l’esperienza del governo Letta». Ma c’è da chiedersi se il Pd non avrebbe un problema simile. La scelta berlusconiana di tornare a Forza Italia dopo l’estate fa pensare alle elezioni nel 2014: come minimo alle europee.
Massimo Franco
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