Quei razzisti di poco valore, giusto spegnerli con ironia

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Io abito a Roma, nel quartiere Esquilino. Per semplificare, è definito «quartiere multietnico». Le semplificazioni hanno sempre una verità sostanziale: in effetti, basta passeggiare per il quartiere e l’integrazione risulta più che evidente: sono visibili uomini, donne e bambini provenienti (oppure originari) di molte nazioni diverse, e con diversi colori della pelle.

Facciamo un esperimento: mettiamo che un razzista violento si impossessi del mio corpo, assuma le mie sembianze, come può accadere in una serie televisiva. Mettiamo che io stamattina mi sia svegliato e non sono più io, oppure sono io ma con pensieri e intenzioni diverse. Mettiamo, quindi, che il mostro che è dentro di me desideri che il quartiere torni a essere abitato da soli italiani, che siano italiani da almeno quattro (o cinque, o dieci) generazioni; oppure che sia abitato soltanto da esseri umani con il colore della pelle come il mio. Potrei urlare contro i neri, i gialli; potrei minacciarli, potrei insultarli, lanciare banane o altri generi di frutta; potrei fare «buuuuu», o cercare qualcun altro che la pensa come me; potrei impiegare tutte le mie energie contro la convivenza di italiani con esseri umani di altre nazionalità, oppure contro la convivenza con esseri umani di altro colore della pelle. Fare comizi, fondare partiti, minacciare violenze o addirittura metterle in atto.

Il problema del mio personaggio sarebbe soltanto uno: non riuscirei a ottenere nulla. Il processo di integrazione, in Italia, è un processo storico ineluttabile, in fase più che avanzata, anche se pieno di inciampi. Ci sono realtà radicate in ogni regione del Paese, in ogni angolo di città, campagna o montagna — e sono realtà indiscutibili. Ci sono calciatori in nazionale, lettori al telegiornale, insegnanti. C’è un ministro della Repubblica. Quindi lotterei contro ciò che è ormai ineluttabile. E allora dopo un po’ di tempo, gli autori della serie televisiva che hanno inventato questo fenomeno paranormale, concluderebbero la stagione in questo modo: una notte, il razzista che si è impossessato di me esce sconfitto dal mio corpo e svanisce nel nulla.

I razzisti violenti sembrano forti. Il ministro Kyenge sembra sola e indifesa. È solo un effetto, ma è irreale. La realtà è opposta: il ministro Kyenge rappresenta il cammino della Storia, ed è un cammino vivo, potente, ineluttabile; per questo motivo il ministro risponde pacato ed elegante: sa benissimo che sono rigurgiti del passato, e ogni volta è uno spasmo ribelle in meno. I razzisti sono antistorici, e si agitano molto proprio per questo: tentano di ribellarsi a ciò a cui non possono ribellarsi, non ne hanno più facoltà. L’Italia è un Paese che ha accolto gli altri, è stato disponibile all’integrazione, ha raggiunto uno stadio avanzato di multietnicità. Difetta ancora nelle leggi, ma le leggi che verranno non potranno che andare avanti, verso un miglioramento delle regole dell’accoglienza; è impossibile immaginare che tornino indietro. Dalla realtà evidente di questo Paese non si può più tornare indietro, se non andando contro la Storia. Chi prova ad andare contro la Storia, è destinato alla sconfitta, e ad agitarsi tanto per poi smettere di agitarsi.

 

Il ministro Kyenge non è più nemmeno il simbolo di tutto ciò — o non soltanto: è un ministro della Repubblica italiana che fa il suo lavoro. Quindi, bisogna avere pazienza: i razzisti pian piano usciranno dai corpi in cui si sono rintanati, e svaniranno nel nulla.


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