by Sergio Segio | 23 Luglio 2013 7:31
ROMA — Come il morto che si afferra ai vivi, il ministro dell’Interno Angelino Alfano trascina nel suo abisso di omissioni, contraddizioni, opacità chi con lui ha politicamente condiviso il caso Ablyazov nei cinquanta giorni di silenzio (31 maggio-12 luglio) successivi all’espulsione di Alma Shalabayeva e della sua bimba Alua. Il ministro degli esteri Emma Bonino, quello della Giustizia Annamaria Cancellieri, lo stesso Presidente del Consiglio, Enrico Letta. E polverizza ogni traccia di residua collegialità del Governo, costringendo ora ciascuno dei protagonisti dell’affaire, a muoversi in ordine sparso per dar conto, in solitudine, delle proprie mosse.
UN’INFORMAZIONE VELENOSA
Nella lunghissima dissimulazione di quanto accaduto tra il 28 e il 31 maggio nel quadrilatero Viminale — Questura di Roma — villa di Casal Palocco — Ufficio Stranieri — il peccato originale è infatti nella rapidità con cui, il 3 giugno (dopo aver ricevuto un primo appunto dalla Questura di Roma), il ministero dell’Interno liquida la vicenda come un’ordinaria pratica di espulsione che ha seguito altrettanto “ordinarie” prassi amministrative. L’informazione — come è ormai documentalmente accertato — è infatti significativamente inesatta, monca, e ha la capacità di contagio della peste. In quei primi giorni di giugno, ad esempio, la avalla il capo della Polizia, Alessandro Pansa, salvo doverla correggere, più di un mese dopo, con la sua indagine interna e con un equilibrismo linguistico durante la sua audizione di fronte alla Commissione diritti umani del Senato. «La rapidità della procedura di espulsione di Alma Shalabayeva — converrà il capo della Polizia — non è stata ordinaria, ma neppure anomala».
LE RASSICURAZIONI ALLA GIUSTI-ZIA
È un fatto che quella prima informazione alla camomilla diffusa dal Viminale viene accreditata con l’ufficio di gabinetto del ministro di Giustizia Annamaria Cancellieri convincendola ad una presa di posizione ufficiale sulle procedure di espulsione della Shalabayeva («Perfette», le definisce. Così come accredita l’assoluta regolarità dell’udienza di fronte al giudice di pace di Roma che ha verificato la legittimità dell’espulsione). E questo, mentre la Farnesina e Palazzo Chigi seguono altre strade. La Bonino — per quanto è stato possibile ricostruire — viene avvisata della vicenda Shalabayeva da una email che i legali della donna, lo studio Vassalli-Olivo, le spediscono intorno alle 20 del 31 maggio, più o meno contemporaneamente al lancio Ansa che dà conto dell’espulsione. E, di lì in avanti, decide di muoversi in autonomia.
LE MOSSE DELLA BONINO
Sappiamo dai documenti allegati alla relazione di Pansa che la Bonino attiva la nostra ambasciata a Londra il 3 giugno per verificare lo status di rifugiati politici di Ablyazov e della Shalabayeva nel Regno Unito (ne riceverà un riscontro positivo il 4). E scopriamo anche — per quanto ne riferiscono a “Repubblica” i diretti interessati — che interloquisce durante il mese di giugno «almeno cinque o sei volte» con gli stessi legali dello studio Olivo. Quasi sempre attraverso i suoi più stretti collaboratori. Di più. Come riferiva ieri un’informata cronaca di Luca Sofri su “
il Post”, il 7 giugno il ministro degli Esteri «chiede informazioni a Letta, alla presenza del consigliere diplomatico Armando Varricchio e del proprio capo di Gabinetto Benassi» e «torna a chiedere al mistero dell’Interno informazioni sulle procedure seguite nell’espulsione».
LA RIUNIONE A PALAZZO CHIGI
Che Interno ed Esteri non comunichino in quei primi giorni di giugno e che Alfano e la Bonino non abbiano nessuna ragione al mondo per fidarsi l’uno delle risposte dell’altro è evidente anche dalle scelte del Presidente del Consiglio. Il 3 giugno — per quanto riferiscono fonti qualificate di Palazzo Chigi — Enrico Letta convoca infatti il suo consigliere diplomatico Armando Varricchio e il sottosegretario Patroni Griffi per affidare a loro una raccolta discreta di informazioni con i due ministeri che consentano di venire a capo o quanto meno di avere un’idea di quanto accaduto tra il 28 e il 31 maggio. Un lavoro che, a quanto pare, procede silenziosamente per l’intero mese di giugno e che le stesse fonti di Palazzo Chigi definiscono «assiduo» e fitto di «ulteriori contatti» con Alfano e Bonino (anche se di questi contatti non è dato sapere con esattezza né il numero, né le circostanze).
LA RESA DEI CONTI
Sicuramente, la situazione precipita a inizio luglio. È allora, infatti, che Palazzo Chigi ha la percezione della totale inerzia del ministro Angelino Alfano nel voler andare fino in fondo alla vicenda Ablyazov e, contemporaneamente, del nervosismo della Bonino che, per altro, continua a ricevere la pressione delle Nazioni Unite, dell’Unione Europea, delle Ong. Di qui, la decisione di drammatizzare politicamente la vicenda tentando un’operazione che fallirà. Affidare cioè al capo della Polizia un’indagine interna che assolva il ministro dell’Interno Alfano ma trovi comunque un responsabile nelle burocrazie, scommettendo che quella resa dei conti pilotata contribuisca a spegnere l’incendio. L’esito — come ormai evidente — sarà esattamente l’opposto. Fino alle parole di ieri della Bonino. Chiare nel loro significato e quindi precipitosamente corrette. La dimostrazione — ammesso ce ne fosse bisogno — che, come una peste, appunto, la menzogna politica che segna dall’inizio questa vicenda ha avvelenato tutto ciò che poteva avvelenare.
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