by Sergio Segio | 29 Luglio 2013 4:52
UN DISEGNO di legge confezionato da Palazzo Chigi per ripulire il Porcellum almeno dei suoi più evidenti vizi di legittimità costituzionale. Rendere la legge elettorale «utilizzabile» nel caso in cui la legislatura finisse anzitempo, comunque prima che le riforme istituzionali vadano a compimento (non prima della fine del 2014).
L’iniziativa è stata messa a punto nella massima riservatezza in questi ultimi giorni dal presidente del Consiglio Enrico Letta, dal ministro per le Riforme Gaetano Quagliariello e dal ministro per i Rapporti col Parlamento Dario Franceschini. Proprio il responsabile delle Riforme non a caso da giorni rilascia interviste in cui si dice possibilista sull’eventuale modifica della legge elettorale «derubricandola » di fatto dal complesso pacchetto delle riforme, sebbene su questo punto il suo partito più volte si è detto pronto alle barricate. Un peso non indifferente lo ha il Quirinale, che non perde occasione per sollecitare il superamento in tempi celeri del Porcellum. L’iniziativa che l’esecutivo Letta sta per intraprendere non si può dire che sia stata concordata col Colle, ma di certo non risulterà sgradita.
Tuttavia il terreno è minato, l’esito della sortita governativa tutt’altro che scontato, i veti incrociati ne insidiano la riuscita. Non a caso il premier ha scelto la via del disegno di legge. Mai avrebbe intrapreso quella del decreto, «impensabile» su un tema così sensibile. La presentazione del ddl dovrebbe avvenire tra fine settembre e i primi di ottobre. Non a caso. Obiettivo della missione è quello di disinnescare la mina della Corte Costituzionale. Il 3 dicembre infatti la Consulta si pronuncerà sulla legittimità costituzionale della norma Calderoli. Se verrà dichiarata l’incostituzionalità, si getterà ancor più nel caos l’inconcludente confronto tra i partiti. Ecco allora che l’iniziativa governativa darebbe tempo e modo — se vi sarà la volontà politica — di approvare una miniriforma quanto meno in un ramo del Parlamento. In ogni caso, si tratterebbe di una “norma-ponte”, che potrà essere modificata a sua volta se il nuovo assetto istituzionale frutto della riforma complessiva lo richiederà. Intanto però bisogna correre ai ripari. E alla svelta. In che modo però? Su quali linee si muoverà il ddl in cantiere a Palazzo Chigi?
Quattro sono le chiavi di volta del provvedimento, che incidono su altrettanti punti critici del Porcellum. Il primo. L’introduzione di una soglia minima di accesso al premio di maggioranza, finora non prevista, e quella allo studio sarebbe del 40 per cento. Il secondo. L’innalzamento della soglia di sbarramento per accadere al Parlamento. Finora alla Camera è pari al 4 per cento, elevando l’asticella per esempio al 5 o al 6 per cento si eviterebbe il rischio che forze minori se non minuscole possano varcare la soglia di Montecitorio e Palazzo Madama. Quindi, la riduzione delle dimensioni delle attuali circoscrizioni elettorali. La conseguenza di quest’ultimo apparente tecnicismo sta nel fatto che si creerebbe un ulteriore sbarramento di fatto: il numero degli eletti per circoscrizione si ridurrebbe, intaccando la quota riservata ai cosiddetti resti, dunque alle forze minori. Un quarto e ultimo “ritocco” riguarda il premio di maggioranza al Senato, che tornerebbe ad essere distribuito su scala nazionale anziché regionale, come per la Camera, archiviando l’handicap che nelle ultime legislature ha reso più inconsistenti le maggioranze a Palazzo Madama.
Va da sé, che il ricorso al disegno di legge Letta lo considera l’extrema ratio, qualora fino ad allora — com’è più che probabile — maggioranza e opposizione non avranno raggiunto un’intesa. Sempre che, a far precipitare tutto, riforme e Parlamento insieme, non sarà da qui a un paio di giorni la tempesta che potrebbe seguire alla sentenza in Cassazione a carico di Berlusconi. In ogni caso, a sorpresa, un voto sulla legge elettorale ci sarà alla Camera già prima della pausa estiva e potrebbe essere foriero di nuove spaccature in maggioranza. Questa mattina infatti in piazza Montecitorio il democratico Roberto Giachetti, il berlusconiano Antonio Martino, il vendoliano Gennaro Migliore, con Arturo Parisi e Mario Segni annunceranno il successo nella raccolta di firme parlamentari (una quarantina, ben più delle dieci necessarie) per chiedere l’inserimento d’urgenza in calendario della norma che prevede il ritorno al Mattarellum. Già la mozione di Giachetti che si muoveva su quel crinale, un mese fa, aveva spaccato il Pd. Il copione si ripeterà entro due settimane, quando l’aula sarà chiamata a pronunciarsi sull’inserimento o meno in calendario della riforma prima della pausa estiva. Il ddl del governo potrebbe essere la via d’uscita.
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