by Sergio Segio | 12 Luglio 2013 8:16
E questo è già molto anomalo. Ancora più anomalo, per non dire grottesco, è che i guai con la giustizia del capo della destra stiano diventando uno se non “il” problema del principale rivale politico, il Partito democratico.
Non si pretende (non più) dal Pd che si comporti come qualsiasi altra forza democratica del mondo di fronte a un avversario colpito da condanne gravi per reati comuni, chiedendone l’immediata uscita dalla scena politica. Non siamo una democrazia normale, è evidente, altrimenti i primi a chiedere le dimissioni di Berlusconi sarebbero i suoi compagni di partito. È tuttavia paradossale che il Pd sia riuscito a importare in casa i guai altrui e a farne occasione di feroci contrasti interni, fra dirigenti e militanti, base elettorale e vertice del partito. Insomma le condanne di Berlusconi, lungi dal mettere in crisi la destra, servilmente compatta intorno al padrone, rischiano di spaccare la sinistra. L’hanno già spaccata, anzi, fra litigi, appelli, pesanti accuse reciproche, divisioni al voto, in uno spettacolo a un tempo preoccupante e assurdo. In ballo c’è la tragica prospettiva che la condanna in Cassazione il 30 luglio possa stroncare la carriera di leader di Berlusconi. Il futuro politico di un quasi ottuagenario in Italia è evidentemente più importante del presente economico di un Paese sull’orlo del baratro, dell’avvenire dei nostri figli.
Ora, in questo ennesimo psicodramma innescato dal berlusconismo, bisognerà forse ristabilire alcuni punti fermi. Il governo Letta e la strana maggioranza che lo sostiene scaturiscono da un’emergenza nazionale che non sono i processi di Berlusconi. Si tratta di un governo chiamato a fare due o tre cose essenziali, lo stimolo alla crescita, il controllo del debito pubblico e una legge elettorale decente, utile e perfino costituzionale. Per compiere questa missione nell’interesse del Paese, il Pd ha messo in conto di accettare qualche compromesso con l’alleato col quale, aveva detto, non avrebbe mai governato. Contro l’opinione di milioni di elettori, compreso chi scrive, ha fatto prevalere il valore della governabilità su ogni altro. Ma se la governabilità finisce per annientare l’identità stessa del Pd, allora tanto vale chiudere l’esperienza e tornare al voto. Dopo aver cambiato la legge elettorale, s’intende, perché il presidente Napolitano ha già detto e ripetuto che non scioglierà mai le camere con il Porcellum imperante.
Quello che il governo delle larghe intese aveva promesso agli italiani, in cambio del tradimento del mandato elettorale, era un’assunzione piena di responsabilità da parte di un ceto politico che per due decenni ha lasciato marcire i problemi del Paese per concentrarsi sui propri. E in particolare sui problemi di uno solo. Se dopo poche settimane siamo ancora lì, con una maggioranza appesa alle vicende personali del solito noto, in grado di paralizzare la vita politica e bloccare i lavori parlamentari, allora è stato tutto inutile. Ne prendano atto e tornino a casa. Non si può fermare una nazione perché il più ricco di tutti, secondo vari tribunali della Repubblica, non ha pagato le tasse. Tanto meno una nazione dove ogni settimana un piccolo imprenditore si uccide perché di tasse ne ha pagate troppe.
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