PROTEGGERE LA DEMOCRAZIA

by Sergio Segio | 24 Luglio 2013 7:27

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Nel 1992– sull’onda dell’indignazione per due stragi, quella di Capaci e via D’Amelio – venne introdotto nel codice penale l’articolo 416-ter che punisce chi ottiene la promessa di voti dalle associazioni mafiose in cambio di denaro. È la norma tuttora vigente in materia di scambio elettorale politico- mafioso, una norma che al suo interno conserva un gravissimo limite. Per essere punibile, infatti, il candidato che riceve la promessa di voti da parte dell’associazione mafiosa deve aver erogato in cambio del denaro, che è considerato il solo possibile oggetto di scambio. Ma questa è una situazione difficilmente riscontrabile; alle organizzazioni criminali non interessano i soldi dei politici, ma i soldi che i politici possono far guadagnare loro. La politica è soltanto un mezzo per velocizzare il profitto. Appalti, posti di lavoro, licenze, concessioni: è così che i clan guadagnano.

LE ORGANIZZAZIONI non si fanno pagare per ogni voto, sono lungimiranti: sanno che informazioni per una gara d’appalto possono essere molto più utili per far lavorare decine delle loro ditte per anni; un’agevolazione sul piano regolatore può trasformare terreni agricoli in migliaia di metri cubi di cemento; una firma su una licenza può far aprire ristoranti che altrimenti non esisterebbero. Favori, non soldi: è così che i clan organizzano il loro sviluppo. Da anni si attendeva che questa norma venisse resa davvero efficace, con le modifiche necessarie; per i governi di centrodestra e di centrosinistra, però, questo obiettivo non è mai stato una priorità.
Ora invece sembrava che fosse giunto il tempo di una reale riforma; la Camera dei deputati si è decisa a lavorarci ed ha approvato un testo con la quasi unanimità; esso è stato così riformulato: «Chiunque accetta consapevolmente il procacciamento di voti con le modalità previste dal terzo comma dell’articolo 416-bis in cambio dell’erogazione di denaro o di altra utilità è punito con la reclusione da quattro a dieci anni. La stessa pena si applica a chi procaccia voti con le modalità indicate al primo comma». All’apparenza potrebbe sembrare che i problemi sono risolti; non è più solo l’erogazione di denaro punibile come possibile oggetto di scambio, ma anche “altre utilità”. Nella norma, però, si è cambiato anche molto altro; se prima bastava la mera promessa di voti da parte dell’organizzazione mafiosa perché il candidato fosse punibile, ora è necessario provare il procacciamento, cioè un’attività concreta di ricerca e raccolta voti per quel determinato candidato da parte dell’organizzazione criminale, utilizzando la sopraffazione tipica delle organizzazioni
mafiose.
E questo punto della norma è quello che preoccupa di più. Le mafie sono avanguardia economica e hanno meccanismi d’operatività ben più complessi che la semplice intimidazione.
Il procacciamento di voti, del resto, è molto difficile da individuare, perché implica la necessità di cogliere il boss e i suoi affiliati mentre fanno “campagna elettorale” per il politico in questione, convincendo — con i loro mezzi tipici — i cittadini a vendere il loro voto. I loro mezzi tipici in campagna elettorale raramente sono violenti: sono piuttosto promesse di lavoro, di favori, appelli a rapporti familiari, insomma le dinamiche utilizzate anche dai partiti. La riforma della norma invece fa riferimento al “metodo mafioso” con cui procacciarsi voti.
I boss non fanno mai (tranne in rarissimi casi) campagna elettorale in prima persona, ed è quasi impossibile dimostrare che un elettore si è venduto il voto o ha votato sotto pressione. I clan sanno benissimo che dimostrare un voto comprato, condizionato, scambiato è impresa quasi impossibile per gli inquirenti, i quali invece, grazie alle intercettazioni e alle dichiarazioni dei pentiti, spesso riescono a provare che un patto è stato realmente stipulato tra boss e politico. E questo è il punto attorno a cui deve fondarsi una norma antimafia sullo scambio dei voti.
Ed è per questa ragione che la norma diventa solo un mero feticcio, un atto mediatico. O peggio. Viene infatti il dubbio che attraverso questa norma si possano mettere in forse alcuni importanti processi in corso sui rapporti mafia-politica; penso, ad esempio, al processo contro l’onorevole Cosentino. Se venisse approvata una riforma che regola in maniera complessiva il rapporto mafia politica, essa non rischierebbe forse di essere l’unico riferimento per sanzionare i comportamenti illeciti dei politici, anche quando sia stato contestato il concorso esterno in associazione mafiosa? Nell’inchiesta Cosentino, infatti, mentre è chiaramente raccontata la promessa- patto tra politica e camorra non v’è alcuna possibilità di dimostrare che il clan abbia effettivamente “procacciato” i voti. La riforma nasconde allora una trappola salva-Cosentino?
In questi giorni sono in molti che sollevano dubbi su questa disposizione e questi dubbi meritano di essere rilanciati e presi in considerazione dalla politica. Il testo del nuovo articolo 416-ter deve essere ancora votato dal Senato. Siamo ancora in tempo, quindi, per migliorarlo com’è necessario.
Il presidente Grasso ne auspica l’approvazione entro la pausa estiva. È un intento meritorio, ma deve sapere che questa riforma così com’è non realizza nessun reale obiettivo di contrasto. Tutt’altro. Rischia di essere un regalo ai clan magari fatto in maniera distratta, una riforma votata in alcuni casi perché non si conosce abbastanza il tema o per alcuni è stata votata senza leggerla.
Il voto di scambio è un sistema criminale che uccide la democrazia al suo più importante livello, nel suo luogo più importante: e cioè nella libertà del seggio elettorale. Abbiamo aspettato 20 anni per una legge efficace. Facciamo in modo di non sprecare questa occasione. In questi giorni, in occasione del triste anniversario della strage di via D’Amelio, è stata ricordata sui giornali una frase di Paolo Borsellino: “Politica e mafia sono due poteri che vivono sul controllo dello stesso territorio: o si fanno la guerra o si mettono d’accordo”. Evitiamo che sia la legge ad aiutare a metterle d’accordo.

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