Primarie e scelta del premier Nel partito tre piani anti Matteo

by Sergio Segio | 15 Luglio 2013 6:32

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ROMA — La paura fa le regole. O almeno così sostengono gli uomini del sindaco di Firenze.

Infatti, di fronte alla discesa in campo a passo di carica di Matteo Renzi, i bersaniani puntano a fermarlo con delle regole ad hoc. L’ex premier Massimo D’Alema spera invece in un metodo più sofisticato per impedire al primo cittadino del capoluogo toscano la presa del palazzo del Nazareno. Infine, se non dovesse andare bene nessuno dei due piani ce n’è un terzo, la cosiddetta ultima spiaggia.

Ma occorre andare per ordine. Le regole sono il metodo prescelto da Bersani e dai suoi, come fu anche la volta scorsa. Ieri era Nico Stumpo, oggi è Davide Zoggia, attuale responsabile dell’organizzazione del Pd, che è incaricato di bloccare Renzi, o, meglio, di renderlo inoffensivo. Sarà lui a proporre alla prossima riunione della Commissione per il congresso le regole anti-sindaco.

La prima: il segretario non sarà automaticamente candidato alla premiership. La seconda, i segretari regionali verranno scelti solo dagli iscritti, e prima del leader nazionale. Questo per impedire che vengano votati alle primarie, in collegamento con il loro candidato segretario nazionale, com’è stato finora. Già, perché se questa norma fosse mantenuta Renzi avrebbe la maggior parte dei leader regionali, e quindi il partito sarebbe interamente nelle sue mani. Facendoli invece votare dai soli iscritti — che, a oggi, sia detto per inciso, sono 500 mila, ossia 250 mila in meno di quelli che votarono nel 2009 per Bersani segretario — l’apparato del Pd e la vecchia maggioranza possono sperare di spuntare più segretari regionali possibili mantenendo il loro potere sul partito.

E non finisce qui, per mantenere la presa sul Pd si stabilirà anche che l’assemblea nazionale, attualmente eletta alle primarie sulla base delle percentuali ottenute dai candidati segretari, verrà eletta per il 40-50 per cento dai territori. Che tradotto significa, ancora una volta, dagli iscritti dei circoli. Un modo per cercare di «ingabbiare Matteo», denuncia il neo deputato Dario Nardella.

Ciliegina sulla torta: chi vorrà votare alle primarie dovrà iscriversi a un albo degli «aderenti», un modo, secondo i renziani di «appesantire il voto anche nei termini». Secondo un altro neo-deputato, Davide Faraone, queste «sono sottigliezze che gli umani normali non possono capire».

Ma il parlamentare siciliano, gran sostenitore del sindaco, ha poca voglia di fare dell’ironia. È fuori di sé per questa storia delle regole: «Se fanno veramente una cosa del genere vuol dire che il Pcus rispetto a noi era un “open space”. Ricordo a Zoggia e a quanti si affannano a predisporre gabbie per Matteo che le regole si cambiano in assemblea nazionale con il quorum prestabilito. L’idea, poi, che per i congressi locali votino solo gli iscritti sa tanto di volontà di costituire qualcosa di simile all’esercito egiziano, pronto a intervenire se il leader sbaglia…».

Angelo Rughetti, un altro parlamentare renziano, avverte: «Sappiano che non possono permettersi di portare un documento con delle regole che noi non votiamo». Già perché la contro-minaccia è quella di far saltare il tavolo e questa è una prospettiva che il gruppo dirigente non può permettersi, non nelle difficoltà in cui versa per ora.

Perciò si tenta la trattativa. Renzi è disposto a cedere sul segretario-candidato premier perché «i leader si fanno sul campo», ma non sul tentativo di ingabbiarlo in un partito d’apparato in cui i segretari locali non rispondano a lui. Ma se il confronto è su questi punti significa che Bersani si è rassegnato al fatto che Renzi sia destinato a diventare segretario. Prospettiva alla quale, invece, non si è rassegnato Massimo D’Alema, il quale è disposto a non appoggiare più Gianni Cuperlo se si trova un altro candidato alla leadership del Pd che possa stare bene anche a Renzi, evitando così che il sindaco scenda in campo. Dicono infatti che l’ex premier, in questi giorni, si stia dando molto da fare su questo versante, incontrando diversi esponenti del partito.

Dovessero andare male entrambi questi piani, c’è l’ultima carta: moltiplicare a dismisura il numero dei candidati alla segreteria per evitare che Renzi superi il 50 per cento. In questo modo il sindaco andrebbe sì alla guida del Pd, ma sarebbe un leader dimezzato, costretto a scendere a patti con i maggiorenti del partito.

Maria Teresa Meli

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