Polizia italiana e pasticcio kazako ora vanno individuati i responsabili

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Letta ha riconosciuto che ci sono «crescenti interrogativi sostanziali» sui tempi delle procedure, insolitamente e incredibilmente veloci per un apparato burocratico come quello italiano. In soli tre giorni, questura di Roma e ministero dell’Interno hanno trasformato Alma Shalabayeva e la sua bambina in presenze insopportabili per lo Stato italiano, tanto da consegnarle al console kazako in attesa su un aereo, prima ancora che l’iter amministrativo fosse concluso.
Ora ci sono due modi per uscire dal pasticcio kazako. O declassare la vicenda a un banale errore burocratico, una faccenda di timbri e ceralacche; oppure (e naturalmente è ciò che bisogna fare) risalire con pazienza, senza fretta, con rigore, lungo la catena delle responsabilità e vedere dove si ferma. Il dissidente Ablyazov è sicuramente una personalità controversa. Banchiere e imprenditore spregiudicato, accusato di diversi reati finanziari. Però è anche un esponente politico cui il Regno Unito ha concesso asilo fin dal 2009 per sottrarlo alla caccia scatenata dal presidente-autocrate del Kazakistan, Nursultan Nazarbaev, amico personale di Silvio Berlusconi. Letta si è tenuto distante dal sospetto rilanciato a livello internazionale: il ministro dell’Interno Angelino Alfano avrebbe gestito una specie di rendition per compiacere Nazarbaev e quindi Berlusconi.
Come ha sottolineato anche Letta, la questione è ancor più «delicata» perché è «coinvolto un minore». Le norme europee e italiane prevedono procedure di garanzia per i familiari (specie i minori) dei rifugiati politici. È il principio della cosiddetta «protezione sussidiaria». Ma bisogna volerlo applicare.
Giuseppe Sarcina


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