Occultati 538 milioni di perdite In arresto la famiglia Ligresti La famiglia Ligresti e il gruppo

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TORINO — Il patriarca, Salvatore Ligresti, 81 anni, ingegnere originario di Paternò ma da sempre trapiantato a Milano, la Guardia di Finanza di Torino l’ha bloccato ieri mattina a casa sua, in Porta Venezia. La primogenita Jonella, 46 anni, è stata fermata in Sardegna, nella villa a Costa Rei che aveva affittato per le vacanze. L’altra figlia, Giulia, 45 anni, era anche lei a Milano. Il figlio minore Paolo, 44 anni, è invece per il momento sfuggito agli arresti: si trova in Svizzera, a Montagnola, dove risiede dal 1996 e dove ha anche la cittadinanza, e ieri ha fatto sapere con i suoi legali di non avere intenzione di consegnarsi.

È la svolta clamorosa dell’inchiesta della Procura di Torino che su segnalazione della Consob da un anno indaga per falso in bilancio aggravato e manipolazione del mercato sulla compagnia assicurativa Fondiaria-Sai (che ha sede a Torino), una delle varie inchieste scaturite dal crollo della galassia societaria dei Ligresti. Ieri il gip Silvia Salvadori, su richiesta del procuratore Vittorio Nessi e del pm Marco Gianoglio, ha disposto la custodia cautelare per i Ligresti, per gli ex amministratori delegati Emanuele Erbetta e Fausto Marchionni e per l’ex vicepresidente Antonio Talarico. A Salvatore Ligresti, Marchionni e Talarico sono stati concessi i domiciliari, mentre Giulia è stata rinchiusa nel carcere di Vercelli e Jonella in quello di Cagliari.

«I miei figli non c’entrano, non hanno avuto il ruolo che gli attribuiscono in questa vicenda. Sono sicuro di poter dimostrare la nostra innocenza», ha detto Ligresti ieri ai finanzieri che lo portavano nella sua villa nel quartiere di San Siro, dove è detenuto. E di «misure eccessive» ha parlato l’avvocato della famiglia, Gian Luigi Tizzoni, annunciando ricorso al Riesame.

Le indagini curate dalla Guardia di Finanza di Torino comandata dal generale Giuseppe Gerli hanno evidenziato che Fonsai avrebbe occultato nel bilancio 2010 circa 538 milioni di perdite da «sottovalutazioni» nella riserva sinistri, cioè negli accantonamenti che ogni compagnia deve mettere da parte a garanzia dei risarcimenti. Accantonamenti che la compagnia evitava di fare archiviando forzatamente i sinistri, che poi venivano riaperti l’anno successivo. La cifra era già emersa nel corso della ristrutturazione di Fonsai e le riserve integrate per 810 milioni nel 2011 e per altri 808 milioni nel 2012 dal nuovo azionista di controllo, Unipol. Quella mancata indicazione a bilancio avrebbe però tratto in inganno i soci che nel 2011 sottoscrissero l’aumento Fonsai da 450 milioni. Se fossero state esposte integralmente, si sarebbe dovuto effettuare una ricapitalizzazione molto più ingente, che però avrebbe spazzato via la famiglia dalla proprietà. La Procura stima in circa 12 mila i risparmiatori colpiti da un danno patrimoniale di 300 milioni tra perdita del titolo in Borsa e capitale bruciato.

Quello dei Ligresti sarebbe stato insomma un castello di carta tenuto in piedi solo dall’artificiale valore di Borsa di Fonsai e della controllante Premafin (per il cui aggiotaggio è aperta a Milano un’inchiesta del pm Luigi Orsi). Un castello che ai Ligresti serviva per drenare risorse e accumulare potere. Senza la sottovalutazione dei sinistri, Fonsai non avrebbe potuto distribuire dividendi, necessari anche per pagare i debiti con le banche, a cominciare da Unicredit; invece alla holding dei Ligresti sono risaliti 253 milioni in dieci anni. Il potere derivava dalla capacità di Fonsai di acquistare quote azionarie nel «salotto buono» della finanza, da Mediobanca a Pirelli a Capitalia-Unicredit a Rcs (che edita il Corriere della Sera), ora ereditate da Unipol.

C’è poi il capitolo delle operazioni immobiliari che Fonsai realizzava con le società dei Ligresti, «parti correlate» che hanno provocato centinaia di milioni di perdite, a cominciare dalla vendita del 2009 di Atahotels, la catena alberghiera dei Ligresti in grave crisi, pagata 26 milioni ma costata a Fonsai, tra svalutazioni e ricapitalizzazioni, circa 208 milioni (stima dei pm). E ci sono ancora gli oltre 40 milioni versati a Ligresti, presidente onorario, come «consulenze», e i compensi milionari ai figli: solo nel periodo 2008-2010 a Jonella, presidente di Fonsai, sono andati 9,5 milioni, a Giulia 3,4 milioni, a Paolo oltre 10 milioni. Mentre Marchionni ha avuto 15 milioni, e Talarico 8, pur senza ruoli operativi. Il denaro risaliva anche verso le società lussemburghesi dei Ligresti Limbo, Canoe e Hike, da cui Giulia e Paolo hanno ritirato di recente circa 14 milioni (attraverso una «anomala» riduzione di capitale, scrive il gip) che dimostrerebbe «la concretezza del pericolo di fuga». Senza contare le intercettazioni che attribuiscono a Paolo una volontà di «andare in vacanza» alle isole Cayman.

Di fatto era una società «piegata all’interesse di una parte dell’azionariato», ha detto il pm Nessi. E senza controlli adeguati, visto che l’Isvap si sarebbe mossa «con una certa lentezza». L’ex presidente dell’autorità di vigilanza sulle assicurazioni, Giancarlo Giannini, è indagato a Milano per corruzione e calunnia. Sarà comunque difficile recuperare il denaro: il pm ha detto che si sta valutando il «sequestro per equivalente» (del profitto del reato) in vista di una eventuale confisca.


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