Nel Pdl tensione e speranza. Il silenzio del Pd

by Sergio Segio | 31 Luglio 2013 6:29

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ROMA — Un’altra notte di attesa, un altro giorno di tensione e fiato sospeso. Tra stasera e domani la Cassazione dovrebbe emettere il suo verdetto, e la politica attende quasi in silenzio — tra sussurri e sentimenti contrastanti — una decisione che sarà in ogni caso gravida di conseguenze.

Silvio Berlusconi ha passato a Palazzo Grazioli la giornata, e le visite sono state ridotte al minimo: Gianni Letta, Paolo Bonaiuti, i suoi legali tra i pochissimi ad avere accesso al suo studio, oggi dovrebbero arrivare a sostenerlo nel momento del verdetto i figli Marina e Pier Silvio. Con i suoi dunque il Cavaliere ha parlato solo al telefono mostrando, raccontano, «un atteggiamento molto freddo e razionale». Nessuno sfogo, niente che potesse essere riferito all’esterno come sua decisione in caso di condanna. E anche i contatti limitatissimi appartengono a una strategia evidente e dichiarata del suo avvocato Franco Coppi: evitare che si alzino i toni, che nell’aria aleggino minacce, che argomenti extragiuridici vanifichino il suo lavoro. «Abbiamo ottimi argomenti per vincere, ragioni fortissime. Tutti mantengano la calma ed evitino dannosissime uscite», il diktat del legale.

E così, ora dopo ora, il clima è sembrato in qualche modo cambiare. Berlusconi, dicono, resta «angosciato» per quella che ritiene la più grande ingiustizia commessa ai suoi danni, per la requisitoria del Pg della Cassazione che comunque conferma fin nelle virgole l’impianto accusatorio di Tribunale e Corte d’appello di Milano. Resta preoccupatissimo. Ma è anche, nonostante l’umor nero di fondo che non passa, «un po’ più ottimista» sul fatto che l’esito finale possa non essere catastrofico. Si augura insomma che «vinca la verità», perché qualche segnale, oltre alle parole stentoree di Coppi, potrebbe essere letto in controluce come positivo. La crescita in Borsa di oltre il 3% del titolo Mediaset, come se il mondo finanziario si aspettasse un’assoluzione, totale o parziale. La richiesta del Pg di ricalcolare la pena accessoria, nonostante Coppi derubrichi la cosa come una sorta di atto dovuto.

Insomma, sensazioni. Nel Pdl, a mezza bocca, confessano di attendersi «una soluzione all’italiana», magari «un mezzo pasticcio» che preveda una condanna solo parziale, o un rinvio in appello. Sarebbe «il minimo della saggezza, ma almeno non sarebbe la follia della condanna», che — nessuno ha dubbi — porterebbe con sé comunque una profonda instabilità nel governo se non la crisi, nonostante le ripetute professioni di fedeltà al governo fatte trapelare dal Cavaliere nei giorni scorsi. «Quello che farà in caso di condanna lo sa solo lui», è la previsione unanime.

Poi ci sono gli auspici o le convinzioni degli alleati della grande coalizione. Pier Ferdinando Casini prevede che «Berlusconi non farà saltare il banco», che il sistema reggerà, anche se arrivasse una condanna che lui non si augura. Per il Pd, il capogruppo alla Camera Roberto Speranza assicura che il suo partito «rispetterà rigorosamente il lavoro dei magistrati, la politica deve saper tacere», anche se «dopo la sentenza ci sarà bisogno di fare una riflessione» ma «le vicende giudiziarie non devono entrare nelle questioni di governo». E poi c’è chi ha convinzioni granitiche, come Marcello Dell’Utri: «Berlusconi non lascerà mai l’Italia. E, se condannato, potrebbe continuare a fare politica da fuori come Grillo». Poi ci sono i falchi, pronti alla guerra. Di entrambi gli schieramenti. Ma nel giorno dell’attesa, tacciono. Se guerra dovrà essere, l’annuncio dovrà arrivare al momento giusto.

Paola Di Caro

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